Il vice-ministro dell’Economia e finanze, Maurizio Leo, ha confermato nei giorni scorsi che dopo l’approvazione della legge di Bilancio il governo Meloni metterà mano alla riforma dell’IRPEF. Avverrà nel corso del 2023, quando verosimilmente le aliquote saranno ridotte da 4 a 3. Erano 5 fino all’inizio di quest’anno, ovvero prima che il governo Draghi facesse entrare in vigore la sua riforma con annesso taglio delle tasse. Si tratterebbe, almeno nelle intenzioni dell’esecutivo, di una fase transitoria che porterebbe all’implementazione definitiva della “flat tax”, il sistema impositivo con aliquota unica.

Obiettivo: ridurre la pressione fiscale sui contribuenti italiani, tra le più alte nel mondo.

Ad oggi, le aliquote IRPEF sono 4 e si applicano sui seguenti scaglioni di reddito:

  • 23% fino a 15.000 euro;
  • 25% da 15.001 a 28.000 euro;
  • 35% da 28.001 a 50.000 euro;
  • 43% sopra 50.000 euro.

Riforma IRPEF del governo Meloni

Il governo Meloni vorrebbe tendere al seguente schema:

  • 23% fino a 15.000 euro;
  • 27% tra 15.001 e 50.000 euro;
  • 43% sopra 50.000 euro.

Taglio delle tasse serve sopra 35.000 euro

Come potete notare, la riforma dell’IRPEF porterebbe a un forte abbassamento del carico fiscale per i redditi medi, cioè dai 28.000 ai 50.000 euro. Su di essi si applicherebbe un’aliquota del 27%, anziché del 35% come oggi. A rigore, i redditi tra 15.000 e 28.000 euro tornerebbero a pagare di più come fino agli inizi di quest’anno. Tuttavia, è probabile che il governo eviterebbe la stangata attraverso il sistema delle detrazioni fiscali. Ad ogni modo, dirimente sarà la fascia di reddito dai 35.000 euro insù. Secondo l’Osservatorio Itinerari Previdenziali, solamente il 13% dei contribuenti dichiara al Fisco almeno 35.000 euro lordi all’anno. E, purtuttavia, versano il 60% del gettito IRPEF complessivo.

In altre parole, sono pochi i contribuenti italiani a contribuire alle spese dello stato, almeno stando alle imposte dirette. Qualsivoglia riforma dell’IRPEF non potrà che partire da questa premessa. Il taglio delle tasse concentrato sulle fasce medio-basse sarebbe certamente più popolare, ma si rivelerebbe molto meno efficace.

Coloro che le tasse le pagano, rischiano così di non vedere mai migliorata la propria condizioni di vita. E, dunque, l’impulso all’occupazione e alla produttività non ci sarebbe.

Aliquote IRPEF restano alte

Infine, si tenga anche conto che mantenere elevata l’aliquota massima del 43% invia un segnale negativo sul sistema impositivo nazionale. Dall’estero, in particolare, chi volesse spostare in Italia redditi e/o produzione tende a guardare in primis proprio l’aliquota più alta da versare con l’imposta sulle persone fisiche. E il 43%, a cui vanno aggiunte le addizionali regionali e comunali per un’aliquota finale del 45%, si rivela una percentuale altissima.

Nel 2022, il gettito IRPEF atteso è sui 205 miliardi di euro, comprensivo delle addizionali regionali e comunali e al lordo dell’ex bonus Renzi. Parliamo di oltre il 10% del PIL, eppure insufficiente a coprire la sola spesa assistenziale e sanitaria, che vale sui 288 miliardi. Il paradosso dell’Italia è che paghiamo tasse molto alte per un gettito che si rivela insufficiente a coprire le spese. E parte del problema sta proprio nella distribuzione estremamente iniqua del carico fiscale tra i contribuenti: pochi pagano e molti ricevono assistenza. I secondi, essendo in maggioranza, riescono ad incidere sull’operato di ogni governo, gonfiando la spesa pubblica e finendo per gravare ancora di più sui primi. Con la conseguenza di disincentivare lavoro, produzione e favorire l’economia sommersa.

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