Il Documento di economia e finanza per il 2024 è stato redatto senza la parte programmatica, rinviata entro settembre. Il governo di Giorgia Meloni vuole guadagnare tempo, sfruttando la transizione al nuovo Piano fiscale strutturale dell’Unione Europea. Dalle cifre tendenziali, tuttavia, emerge la necessità di reperire risorse a copertura di alcune promesse elettorali già temporaneamente tradotte in misure legislative. Parliamo, anzitutto, di taglio del cuneo fiscale e delle aliquote Irpef. Il primo è stato confermato ed esteso quest’anno a 10 miliardi di euro, mentre l’abbattimento del carico fiscale è costato 4 miliardi.

In tutto, 14 miliardi solo per rendere definitivi i due provvedimenti oltre il 2024. E l’idea che starebbe avanzando, sarebbe di procedere una volta per tutte con una riforma delle detrazioni fiscali.

Riforma detrazioni fiscali in vista

Le detrazioni Irpef sono veri e propri sconti d’imposta concessi ai contribuenti. Numerose voci di spesa possono essere detratte dall’imposta per una certa percentuale. Esempio tipico lo sono quelle al 19%. Si tratta di spese sanitarie, assicurative contro il rischio morte, l’infortunio, la non autosufficienza, gli interessi sui mutui, ecc. Il legislatore riconosce la possibilità di scalare parte di queste spese dal monte-imposta per alleggerire il carico fiscale del contribuente.

In Italia, di detrazioni e deduzioni fiscali ne esistono ormai a centinaia e provocano minori entrate per lo stato nell’ordine stimato di quasi 130 miliardi. Per chi le tasse le paga, queste concessioni appaiono certamente un toccasana per versare un po’ di meno al fisco. La parte brutta della storia è che, in fin dei conti, a sostenerne il costo sono gli stessi beneficiari. Come? Pagando sin da principio aliquote Irpef più alte. E’ un caso esemplare di schizofrenia legislativa: da un lato ti chiedo di più per consentirti di pagare di meno sulle voci di spesa che decido io.

Aliquote Irpef più alte in cambio di sconti

Avete presente quella scritta ironica che trovate a volte alla cassa di un bar o di un ristorante “prima di chiederci lo sconto, permetteteci di alzare il prezzo”? E’ esattamente quello che fa lo stato con i contribuenti.

Chiede loro aliquote elevate, salvo fingersi benevolo con numerosi sconti elargiti a destra e a manca. Di riforma delle detrazioni fiscali si parla da decenni. Non solo per fare cassa, bensì per rendere più razionale la materia. A tutti converrebbe pagare aliquote più basse, anche non potendo portare in detrazione parte o tutte le spese sin qui ammesse. Per non parlare del fatto che le detrazioni fiscali il più delle volte si rivelano regressive, cioè avvantaggiano coloro che dichiarano redditi medio-alti e che, quindi, riescono a scaricare le spese dall’imposta.

Di quale riforma delle detrazioni si starebbe ragionando al governo? Un indizio arriva dal dibattito che si era aperto con il varo della legge di Stabilità 2024: fissare una percentuale massima rispetto al reddito per le detrazioni d’imposta. Più questo è alto, minore la percentuale. Alla fine non se ne fece nulla, salvo introdurre una franchigia di 260 euro per le detrazioni sui redditi superiori ai 50.000 euro lordi. Un modo per impedire che al di sopra di tale soglia i contribuenti beneficiassero del taglio alla seconda aliquota Irpef dal 25% al 23%.

Ipotesi di riforma

Nei giorni scorsi, il Consiglio dei commercialisti ha invitato il governo a fissare un limite alle detrazioni fiscali in base al reddito. Ha altresì avvertito che la riforma delle detrazioni dovrebbe procedere di pari passo alla riduzione delle tasse, altrimenti i contribuenti finirebbero per pagare ancora di più. Questo ci porta a pensare che, effettivamente, a settembre o anche prima (ma dopo le elezioni europee!) questa sarà la scelta dell’esecutivo. Si fisserebbe un limite, ipotizzato nell’ottobre scorso, del 4% per i redditi fino a 15.000 euro; del 3% tra 15.000 e 50.000 euro e del 2% sopra 50.000 euro.

In alternativa, la franchigia potrebbe essere rivista all’insù sopra una certa soglia di reddito.

Un’altra ipotesi, non necessariamente alternativa e già studiata pochi mesi fa, consiste nel far partire il décalage sulle detrazioni fiscali già a 80.000 euro di reddito. Ad oggi, le detrazioni al 19% iniziano ad essere ridotte a partire da 120.000 euro fino ad azzerarsi a 240.000. La riforma delle detrazioni abbasserebbe la soglia da cui i contribuenti inizierebbero a beneficiare meno degli sconti. Resta da vedere se le risorse basterebbero a finanziare solo il taglio dell’Irpef già effettuato o se punterebbe ad estenderlo ai redditi medio-alti. Infine, da dove si ricaverebbero i 10 miliardi per confermare il taglio dei cuneo fiscale, ossia dei contributi Inps a carico dei lavoratori dipendenti fino a 35.000 euro di reddito?

Riforma detrazioni fiscali resta materia sensibile

Dicevamo che le detrazioni fiscali riducono il gettito di quasi 130 miliardi all’anno, per cui può sembrare che basti poco per fare cassa. La realtà è molto diversa. Ci sono tante voci di spesa sensibili, difficilissime da toccare. Basti pensare proprio alle suddette spese sanitarie, agli interessi sui mutui, alle detrazioni sui redditi da lavoro e pensioni, ecc. E qualsiasi riforma delle detrazioni che toccasse questa o quella voce, finirebbe per fare strillare l’uno o l’altro settore dell’economia colpito. Si pensi ai bonus mobili o edilizi. Non è un caso che anche il governo Meloni abbia partorito il topolino a Natale. Vedremo se avrà maggiore coraggio dopo le europee.

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