Il reddito di cittadinanza non è scomparso. Contrariamente a quello che si va propinando nelle piazze italiane, il sussidio è stato confermato praticamente all’80% dei percettori. Ne dovranno fare a meno solamente coloro che hanno un’età compresa tra 18 e 59 anni, senza figli minorenni a carico e che non siano disabili. Per legge saranno considerati “occupabili”. In altre parole, il governo Meloni ritiene che potranno continuare a percepire l’assegno ogni mese gli over 60, chi ha figli minorenni e chi è disabile. Il mantra dell’esecutivo è diventato “chi può, deve andare a lavorare”.

Le opposizioni, specie il Movimento 5 Stelle, accusano la premier di avere ingaggiato “una guerra contro i poveri”. I numeri raccontano una realtà un po’ più complessa.

Pochi iscritti ai corsi di formazione

Come saprete, gli occupabili potranno continuare a percepire 350 euro al mese per un anno, a patto di iscriversi alla piattaforma del governo per seguire un corso di formazione. Qual è la ratio? Tu hai bisogno di lavorare, ma sei privo di competenze necessarie sul mercato del lavoro. Pertanto, lo stato ti offre uno strumento per riqualificarti e accrescere le opportunità d’impiego. Ma già la stampa parla di flop, volendo sottintendere che la colpa sia del governo. Cos’è successo? Ad oggi, su circa 210 mila percettori che hanno perso il reddito di cittadinanza a seguito della stretta, soltanto in 40.000 si sono iscritti al Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa.

Questo significa che meno di uno su cinque degli ex percettori avrebbe intenzione realmente di seguire un corso di formazione per ambire a lavorare. Il reddito di cittadinanza, spacciato dai “grillini” come un sussidio momentaneo nell’attesa che lo stato trovasse un impiego ai beneficiari, era diventato nella realtà un albero della cuccagna per tanti cittadini sfiduciati, altri magari lavoratori in nero e – diciamolo senza vergogna – qualche fannullone. Non si spiegherebbe altrimenti perché oltre l’80% di chi ha perso il sussidio, stia rinunciando a incassare 350 euro al mese, pur di non seguire un corso di formazione.

Già in calo domande all’Inps

Questi numeri vanno considerati assieme a quanto avvenuto nei primissimi mesi dell’anno. Le domande all’Inps di reddito di cittadinanza sono precipitate su base annua dei due terzi. Difficile immaginare che, improvvisamente, così tanti percettori non abbiano avuto più bisogno dell’assegno. Anche se nei mesi successivi il dato è stato molto meno drastico, il calo della platea dei beneficiari si è registrato, così anche della spesa mensile. Perché? Diverse le possibili spiegazioni. Senza dubbio, però, avrà influito la stretta annunciata dal nuovo governo. Le parole d’ordine sono cambiate nell’ultimo anno. Il passaggio da un governo sostenuto dai 5 Stelle a uno di centro-destra avrebbe dissuaso tanti percettori dal presentare domanda.

Ed è altresì immaginabile che gli “scoraggiati” siano stati coloro che avessero qualcosa da nascondere, principalmente lavoratori in nero. L’antifona è stata capita in tempo. Anziché rischiare controlli, meglio rinunciare al reddito di cittadinanza volontariamente. Quando al governo vi erano i “grillini” di Giuseppe Conte, la musica era molto diversa. C’era la convinzione che il sussidio fosse un diritto inviolabile e che nessuno avrebbe granché controllato la reale condizione dei beneficiari. E’ bastato cambiare linguaggio a Palazzo Chigi per cambiare i numeri.

Flop reddito di cittadinanza nei numeri

Il vero flop non è, dunque, del Sistema informativo da un mese attivo. E’ il reddito di cittadinanza in sé ad essere messo in discussione dai numeri, oltre che dagli slogan scanditi da molti di coloro che protestano nelle piazze del Sud. Era stato inteso non come aiuto momentaneo, bensì assegno a vita. Del resto, la stessa denominazione ha tratto in inganno. Se dici che un sussidio sia legato alla “cittadinanza”, stai lanciando il messaggio che non possa mai più essere ritirato, in quanto diritto inalienabile.

Un bluff politico, costato non soltanto decine di miliardi di euro, ma soprattutto con implicazioni fuorvianti ai danni dell’opinione pubblica.

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