Il reddito di cittadinanza così com’è stato congegnato non va. A dirlo è il buon senso prima ancora che i numeri. Questi ultimi raccontano che il 15% dei percettori ha trovato un impiego. Attenzione, non che glielo abbiano necessariamente trovato i famosi navigator. Semplicemente, su 100 aventi diritto in 15 hanno trovato un lavoro dopo avere preso il sussidio dallo stato. Se vogliamo essere onesti, non sono numeri disastrosi per come la politica vorrebbe farli passare. E per la semplice ragione che la platea dei beneficiari sia molto poco occupabile, a causa di titoli di studio mediamente bassi e di scarse esperienze professionali pregresse.

Ma che il reddito di cittadinanza debba almeno essere rivisto è ovvio. Non puoi offrire fino a 780 euro mensili a un singolo individuo, quando al sud le retribuzioni medie per giovani e lavoratori poco qualificati non si allontanano granché da quei livelli. Il sussidio diventa un incentivo a non lavorare o a lavorare in nero per avere la botte piena e la moglie ubriaca. Oltretutto, pende un referendum abrogativo su cui l’ex premier Matteo Renzi sta raccogliendo le firme.

I punti della riforma del reddito di cittadinanza

Ed ecco che il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sta muovendosi per disinnescare proprio il referendum. Dopo che il premier Mario Draghi ha dichiarato di condividere il “concetto di base” sul reddito di cittadinanza, quasi utopico immaginare che sia eliminato. Tanto più che i dati ufficiali danno la povertà in Italia in aumento. Insomma, il momento meno adatto per un’operazione del genere. Come potrebbe cambiare? Uno dei punti quasi certi riguarda la formazione professionale. Chi percepisce il reddito di cittadinanza, specie se ha un titolo di studio basso, dovrà necessariamente formarsi e/o riqualificarsi per accrescere le proprie probabilità di impiego.

Altro punto: i lavori socialmente utili. Basti aprire quotidianamente un social per scoprire quanto diffusa sia tra gli italiani la convinzione che i percettori dovrebbero mettersi a disposizione delle comunità in cui vivono, svolgendo lavoretti come a favore del verde pubblico, etc.

Facile a dirsi. La realtà è ben diversa. Anzitutto, perché non tutti posseggono i requisiti psico-fisici per svolgere qualsiasi tipo di lavoro richiesto eventualmente dai comuni. Secondariamente, la normativa prevede che siano assicurati contro gli infortuni e dotati degli appositi dispositivi di sicurezza. Per i sindaci, sono costi. Tant’è che, pur essendo già previsto dalla legge, in pochi comuni hanno richiesto l’elenco dei percettori del reddito di cittadinanza ad oggi per far svolgere loro lavori di pubblica utilità.

E ci sarebbe anche la stretta sui lavori. Ad oggi, il percettore può rifiutare fino a tre offerte “congrue” senza perdere il sussidio, una sola se lo percepisce da almeno 12 mesi. Sulla congruità le maglie della normativa verosimilmente saranno strette. Infine, una cosa sembra ancora più certa: i circa 3.000 navigator assunti per trovare il lavoro ai beneficiari saranno mandati a casa. Maggiore impulso sarà dato ai Centri per l’impiego. Inutili come sono, perlomeno già esistono e non assorbono ulteriori risorse dello stato.

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