A marzo, il numero delle persone in cerca di lavoro è risultato in calo di 267.000 unità a 2 milioni 132 mila, pari a un tasso di disoccupazione dell’8,4%, giù dal 9,3% di febbraio. In molti vi sarete chiesti come sia stato possibile un crollo del numero dei disoccupati in piena emergenza Coronavirus. La risposta è puramente statistica: disoccupato è  considerato formalmente chi si mette alla ricerca attiva di un lavoro, ma con il Decreto “Cura Italia” di marzo, il governo Conte ha imposto un blocco dei licenziamenti inizialmente di 60 giorni, estesi di recente a 5 mesi, cioè fino a dopo Ferragosto.

Inoltre, chi ha cercato lavoro rinchiuso in casa per legge con il “lockdown” e consapevole che le imprese fossero chiuse e certamente che l’ultima delle loro preoccupazioni fosse tenere colloqui per assumere?

Anticipo cassa integrazione, come chiederlo alle Poste: fino a 1400 euro

Le imprese non possono licenziare i lavoratori dipendenti, ma al contempo è stata concessa a tutte la possibilità di usufruire della cassa integrazione, dato il fermo delle attività e la conseguente impossibilità di pagare gli stipendi. E così, per il mese di aprile l’INPS risulta avere autorizzato ben 722,3 milioni di ore di cassa integrazione, un numero non confrontabile con le 20 milioni di marzo e che corrisponde a 4,8 milioni di posti di lavoro a tempo pieno (8 ore al giorno) per tutti i 21 giorni lavoratori del mese.

Se a questi lavoratori non fosse stata concessa la cassa integrazione, quasi certamente sarebbero stati in grossa parte licenziati, almeno fino a tutta la durata del blocco delle attività. Nessun imprenditore può permettersi di pagare i dipendenti per farli rimanere a casa. Molti sarebbero stati verosimilmente costretti a prendersi forzatamente le ferie maturate, molti altri sarebbero stati temporaneamente mandati a casa. Se tutti i 4,8 milioni di lavoratori stimati in cassa integrazione fossero stati licenziati formalmente, il tasso di disoccupazione sarebbe esploso all’incredibile 37,6%.

Infatti, sommati ai 2,1 milioni di disoccupati segnalati dall’ISTAT, avrebbero formato una platea di poco meno di 7 milioni di persone, rapportata (a quel punto) a un numero di occupati crollato a nemmeno 18 milioni e mezzo.

Anche negli USA è boom di disoccupati

Del resto, in America, dove non esiste l’istituto della cassa integrazione, ma un lavoratore ha diritto di chiedere il sussidio di disoccupazione anche se perde il posto per pochi giorni, le richieste dell’indennità sono state pari a 38 milioni nelle sole ultime 9 settimane e in aprile in tasso di disoccupazione è risultato esploso al 14,7% dal 4,4% di marzo. Era al 3,5% prima del Coronavirus. Questi dati ci descrivono una situazione più sincera del mercato del lavoro, per quanto auspicabilmente temporanea. Il meccanismo della cassa integrazione in Italia, invece, tende a mascherare le situazioni di perdita di fatto del posto di lavoro, anzi con il blocco dei licenziamenti potremmo continuare ad assistere a una ridicola caduta del tasso di disoccupazione anche per i prossimi mesi e, chiaramente, i dati sarebbero del tutto sconnessi dalla realtà.

Man mano che fabbriche, negozi, bar, ristoranti e uffici hanno iniziato a riaprire, le ore di cassa integrazione richieste e autorizzate necessariamente diminuiranno e con esso il tasso di disoccupazione reale. Sta di fatto che quest’ultimo andrà sempre monitorato per capire quale sia l’effettivo stato di salute del mercato del lavoro, anziché crogiolarci di confronti internazionali che sono diventati del tutto irrilevanti a tal fine. Anche perché lo stato italiano non potrà continuare a mantenere milioni di persone in eterno e quando, volente o nolente, dovrà porre fine al blocco dei licenziamenti, che prolungato avrebbe il sapore del sovietismo, i numeri reali torneranno a galla ed emergeranno i disoccupati veri.

Quale disoccupazione nei prossimi mesi

Con un calo del pil italiano atteso in doppia cifra, i posti di lavoro che rischiano di andare persi stabilmente ammontano a circa un paio di milioni, volendoci tenere bassi.

In effetti, quelli a rischio sono i 20 milioni del settore privato e stimando una riduzione del tutto proporzionale al pil, questo sarebbe l’esito, nel quale caso il tasso di disoccupazione rischierebbe di sfiorare il 20%, mai così alto dall’inizio delle rilevazioni storiche dell’ISTAT. E sarebbe bene che iniziassimo a parlare di numeri reali, anziché di quelli che fanno comodo per sentirci rassicurati dal timbro di una ufficialità slegata dal mondo in carne e ossa.

Certo, se quando il blocco dei licenziamenti sarà cessato l’economia italiana inizierà a rimbalzare in misura considerevole (ipotesi di ripresa a “V”), ecco che il tasso di disoccupazione si collocherebbe sotto quel 20% sopra ipotizzato come percentuale massima, pur nettamente sopra il 9% della fase pre-Coronavirus. Se così non fosse, lo scenario da incubo si materializzerebbe, come dimostra l’andamento del mercato del lavoro dopo la crisi del 2008-’09, bissata dalla recessione nel triennio metà 2011-metà 2014, quando la disoccupazione toccò l’apice del 13%, partendo dal 6% del 2007. In quel caso, vennero perduti 700 mila posti di lavoro in 6 anni, di cui appena 90 mila nel settore pubblico. Dunque, l’incidenza sul settore privato fu del 3,1%, a fronte del -7,5% accusato dal pil. Ne dedurremmo che molte aziende abbiano salvaguardato i livelli di occupazione rispetto al fatturato perduto. Sarà così anche stavolta o 12 anni di crisi alle spalle si ripercuoteranno in toto sui posti di lavoro?

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