Sono passati esattamente 100 anni dall’emissione del primo Rentenmark, la nuova moneta non ufficiale e temporanea in circolazione dal 15 novembre del 1923 nell’allora Repubblica di Weimar. Da allora è cambiato il mondo, quasi nulla è come prima, fuorché la paura della Germania per l’inflazione. Già, perché la storia di cui vi parleremo riguarda la tristemente famosa iperinflazione tedesca. Per spiegare cosa accadde, però, dobbiamo tornare indietro al 1914, quando il Regno di Prussia del Kaiser Guglielmo II decide di entrare in guerra a sostegno dell’impero austro-ungarico contro il Regno di Serbia e successivamente Regno Unito, Francia e Stati Uniti.

Cause dell’iperinflazione tedesca

In quell’anno, il Reichsmark fu sganciato dall’oro. Ricordiamo che il sistema monetario globale allora era il cosiddetto “gold standard” e prevedeva la convertibilità delle monete nazionali in oro. L’operazione fu dovuta alla necessità di emettere moneta senza le limitazioni che quel sistema imponeva, al fine di finanziare l’impresa bellica. Furono emesse 9 obbligazioni per complessivi 98 miliardi di marchi, che coprirono i due terzi delle spese militari. Già durante la Prima Guerra Mondiale, il cambio tra Reichsmark e dollaro USA schizzò da 4,2 a 8,91. In altre parole, si era più che dimezzato di valore.

L’idea del Kaiser era quella di ripagare i debiti con le riparazioni di guerra riscosse dai paesi battuti. Guglielmo II non aveva messo a punto un piano b, cioè quello della sconfitta, che effettivamente avvenne e impose alla successiva Repubblica di Weimar, nata nel 1919, pagamenti per 132 miliardi di marchi. Ma le potenze vincitrici non volevano i Papiermark, cioè i marchi sganciati dall’oro. Allo stesso tempo, i governi che si succedettero erano politicamente assai deboli per imporre una disciplina di bilancio con l’aumento delle imposte e il taglio delle spese.

Cambio azzerato e prezzi schizofrenici

Come starete immaginando, accadde che presto la Reichsbank iniziò a stampare marchi senza ritegno.

E il cambio contro il dollaro collassava di anno in anno, dopodiché di mese in mese, di giorno in giorno e di ora in ora. Nel 2021 servivano già 65 marchi per un dollaro, nel 1922 ben 2.420 e nel giugno del 1923 si arrivò a 100.000. Non fu affatto il punto più basso per il marco, perché il 20 novembre dello stesso anno sprofondò a 4.200 miliardi contro il dollaro. Per fare la spesa servivano le carriole piene di banconote. Un panino costava 105 miliardi, un panetto di burro sui 5.000 miliardi, un kg di pane 4.500 miliardi, persino un francobollo per inviare una lettera arrivò a 50 miliardi. Tra i tedeschi, specie nelle campagne, si optò per tornare al baratto.

L’iperinflazione aveva azzerato il potere di acquisto dei redditi fissi e scatenato il caos. I lavoratori ricevettero lo stipendio ogni giorno e appena finito di lavorare andavano a spenderlo per evitare di fare la spesa a costi ancora più alti poche ore dopo. L’economista John Maynard Keynes nel suo celebre “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” riportò negli anni Trenta del secolo scorso aneddoti curiosi su quel periodo drammatico nella Repubblica di Weimar. I clienti al bar ordinavano direttamente due birre, perché se dopo avere bevuto la prima ne avessero voluto una seconda, nel frattempo il prezzo sarebbe già aumentato. Anziché prendere il bus, molti preferivano viaggiare in taxi, perché la corsa si pagava alla fine e nel frattempo il denaro si era svalutato.

Rentenmark ridà stabilità ai prezzi

Potremmo sorridere dinnanzi a queste storie, ma ai tedeschi vengono gli incubi ancora oggi. Per loro fortuna, il 15 novembre del 1923 un accordo tra la Reichsmark di Hjalmar Schacht e il governo di Gustav Stresemann dà vita al Rentenmark. Si trattò di una moneta temporanea e neppure ufficiale, ma che i tedeschi accettarono volentieri per gli scambi.

Il suo cambio fu fissato a 4,2 contro un dollaro e a 1.000 miliardi contro 1 Reichsmark. Poiché la Reichsbank di oro tra le riserve non ne aveva più, si decise di garantire la nuova moneta con terre e merci industriali ipotecate per complessivi 3,2 miliardi dei nuovi marchi. Improvvisamente, la corsa dei prezzi si arrestò e la popolazione tornò a vedere la luce in fondo al tunnel. Certo, la crisi era stata così grave da avere minato alle basi la fiducia verso Weimar, che effettivamente cadde con l’ascesa del nazifascismo una decina di anni dopo.

Antidoto tedesco contro iperinflazione: ortodossia monetaria

L’iperinflazione tedesca fu tra le più gravi finora registrate nella storia. In anni più recenti, casi simili si sono avuti nello Zimbabwe di Robert Mugabe tra il 2008 e il 2009 e nel Venezuela di Nicolas Maduro tra il 2017 e il 2019. Ci sono tratti comuni in ogni episodio del genere: eccesso di debiti, debolezza dei governi e perdita di fiducia verso la moneta tra la popolazione. La Germania sembra avere imparato fin troppo bene la lezione. Nell’ultimo secolo, ha gestito la politica monetaria con un’oculatezza che ha pochissimi paragoni nel mondo. Anche al costo di soffocare la crescita, ha privilegiato la stabilità dei prezzi. Non ebbe fasi di rilevante inflazione neppure negli anni Settanta, grazie a una politica di restrizione monetaria seguita solo anni dopo da Regno Unito e Stati Uniti.

I 100 anni del Rentenmark cadono in un momento poco brillante per l’economia tedesca, con tassi d’inflazione relativamente alti e una recessione in corso. Nulla a che spartire con gli eventi drammatici del 1923-’24. Tuttavia, i tedeschi ritengono che la devianza dall’ortodossia monetaria abbia reso possibile l’instabilità dei prezzi di questi ultimi due anni. Le accuse sono rivolte senza troppi fronzoli alla Banca Centrale Europea di Mario Draghi prima e di Christine Lagarde successivamente. Le maxi-iniezioni di liquidità attraverso azzeramento dei tassi, acquisti dei bond e prestiti iper-agevolati alle banche commerciali hanno inondato i mercati di euro, con la conseguenza di creare le condizioni per un boom dell’inflazione dopo che per anni questa era data per spacciata.

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