L’inflazione in Italia è tornata a crescere nel mese di aprile. L’indice dei prezzi al consumo ha segnato +8,3% dal +7,6% di marzo. Si è così interrotta una fase calante durata quattro mesi. Il picco era stato raggiunto ad ottobre e novembre con un tasso dell’11,8%. Magra consolazione che anche nell’Area Euro si sia registrata la medesima tendenza, pur molto meno marcata: da +6,9% a +7%. La perdita del potere di acquisto resta sotto gli occhi di tutti e non ha eguali nella storia recente.

L’ISTAT ha registrato per l’intero 2022 un aumento degli stipendi dell’1,1% in media. Si tratta di un dato del tutto sconnesso dall’8,1% dell’inflazione. Significa che un lavoratore dipendente avrebbe perso il 7% di potere di acquisto.

Trend inflazione italiana dal 1947

Forse è anche questo che spiega la forte avversione degli italiani per l’inflazione dopo decenni di apparente tolleranza. Ma per meglio comprendere il fenomeno, dobbiamo guardare all’andamento dei dati nel lungo periodo. L’ISTAT ci consente di calcolare con precisione l’inflazione sin dal 1947. Ebbene, andando a ritroso otteniamo che nel periodo compreso tra inizio del 2009 e fine del 2021, l’inflazione fu in media di neppure l’1,2% all’anno. Parliamo del lungo decennio che inizia con la crisi finanziaria mondiale e si conclude con la pandemia.

Nel decennio precedente, cioè tra il 1999 e il 2008, l’inflazione media era stata in Italia del 2,20%. E nel decennio precedente ancora del 4,2%. Invece, tra il 1979 e il 1988 troviamo uno spaventoso 11,6%, appena superiore all’11,5% del periodo 1969-1978. Un’impennata dovuta alla crisi petrolifera negli anni Settanta. Pensate che tra il 1959 e il 1968, l’inflazione era stata solo del 3,45% medio all’anno, in calo dal 5,1% del lungo decennio precedente iniziato con le rilevazioni del 1947. Se facessimo una media tra il 1947 fino al 2022, troveremmo che l’inflazione annua italiana è stata del 5,47% in questo lunghissimo periodo che copre oltre tre quarti di secolo.

Da una prospettiva storica emergerebbe, quindi, che l’inflazione italiana di quest’ultimo anno sarebbe sì in forte crescita, ma non così allarmante come crediamo. Sì e no. La verità è che passare da una media ultra-decennale di poco superiore all’1% a più dell’8% è uno shock per tutte le famiglie. Anche prendendo come riferimento i dati dal 1990, troviamo che l’inflazione media fino al 2021 fu del 2,3% scarso. La forte accelerazione ha trovato impreparate almeno un paio di generazioni cresciute in un ambiente di prezzi stabili. Coloro che oggi hanno meno di 50 anni di età, probabilmente non hanno neppure ricordi di quanto l’inflazione italiana era in doppia cifra.

Grave questione salariale

E c’è poi la questione salariale pocanzi accennata. Perché è vero che in passato abbiamo avuto di peggio, ma mai era accaduto che gli stipendi non tenessero il passo con l’inflazione a questi livelli. Consultando una tabella sull’andamento di stipendi e beni di consumo dal 1945 al 2000, scopriamo che un operaio generico vide aumentare in media il suo stipendio dalle 123.000 lire mensili del 1970 a 1,1 milioni nel 1990. In termini percentuali, l’incremento medio annuo fu dell’11,6%, praticamente uguale all’inflazione. Il potere di acquisto sarebbe stato grosso modo conservato.

E tra il 1945 e il 1970, il salario medio in Italia sarebbe cresciuto di oltre il 10% all’anno. In questo caso, l’inflazione risulterebbe battuta. Di fatti, le condizioni di vita degli italiani dopo la Seconda Guerra Mondiale migliorarono drasticamente. Cosa vogliamo dire con tutti questi numeri? L’inflazione di oggi appare per certi versi e paradossalmente peggiore dei decenni passati. In primis, perché non eravamo più abituati a prezzi che lievitavano dall’oggi al domani. Anzi, l’inflazione si era mostrata calante a partire da una quarantina di anni fa. E ricordatevi che la psicologia in economia è tanto, se non tutto.

Tanto per fare un esempio, quanti giovani oggi sanno che quando c’è alta inflazione bisognerebbe rifugiarsi nell’oro?

Secondariamente, gli stipendi non stanno adeguandosi affatto, vuoi per il ridotto potere negoziale dei sindacati, vuoi anche per la consapevolezza di questi che rivendicazioni elevate possano innescare una spirale perversa con l’inflazione. Fatto sta che se l’inflazione dura, o gli stipendi si adeguando in fretta o continuano a crescere lentamente. Nel primo caso, si rischia di aggravare il fenomeno dell’inflazione stessa, nel secondo di provocare una dura recessione per via del crollo dei consumi interni.

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