Sui mercati è stato definito “yentervention” l’iniziativa della Banca del Giappone a sostegno dello yen per la prima volta dal 1998. Nel frattempo, questa settimana il cambio euro-dollaro è sceso ai nuovi minimi dal 2002, a 0,9750. Il biglietto verde è e rimane fortissimo e costringe tutte le altre grandi banche centrali diverse dalla Federal Reserve ad agire per salvaguardare i rispettivi tassi di cambio. Il trend rialzista va avanti dalla primavera dello scorso anno, da quando il dollaro guadagna mediamente oltre il 22% contro le altre principali divise mondiali.

Fino a quando andrà avanti?

Per rispondere a questa domanda gli analisti tirano in ballo i tassi reali. Essi sono dati dalla differenza tra i tassi d’interesse nominali fissati dalle banche centrali e i livelli d’inflazione domestica. Attualmente, tutte le grandi economie hanno ancora tassi reali estremamente negativi. In effetti, i tassi nominali risultano molto inferiori agli attuali tassi d’inflazione. E’ così negli USA, in Europa e persino in Giappone.

Cosa muove il cambio euro-dollaro

Tuttavia, quando parliamo d’inflazione, dobbiamo chiarirci sul riferimento ai livelli attuali o a quelli attesi dal mercato. Come vedremo, è proprio questo aspetto che sta influendo negativamente sull’andamento del cambio euro-dollaro. Di cosa parliamo? Mettete che in un dato paese vi sia alta inflazione, ma che per il medio e lungo termine essa sia attesa in forte calo. La banca centrale non avrà la necessità probabilmente di forzare la mano sui tassi d’interesse e i rendimenti dei bond sovrani eviteranno di correre troppo.

Come si misura l’inflazione attesa? Uno dei modi consiste nel calcolare la differenza tra il rendimento di un bond sovrano con cedola fissa e quello di un bond sovrano indicizzato all’inflazione, entrambi sulla medesima scadenza. Negli USA, il T-bond a 5 anni con cedola fissa offre il 2,45% in più del TIPS a 5 anni.

Ne consegue che il mercato si attende un’inflazione media quinquennale del 2,45%. I tassi FED sono stati portati questa settimana al 3,25%. Sapete cosa significa questo? Che già oggi i tassi reali americani sarebbero positivi dello 0,80%.

Nell’Eurozona, invece, eseguendo lo stesso esercizio per i Bund a 4 anni, otteniamo che l’inflazione attesa presso la prima economia dell’area sarebbe mediamente di circa il 2,85% da qui al 2026. Tuttavia, i tassi BCE sono stati alzati a settembre solo a 1,25%. Pertanto, i tassi reali da noi sono ancora negativi di circa 1,60%. Capite benissimo perché il cambio euro-dollaro rimane sotto pressione. I capitali si spostano verso i mercati con tassi reali positivi, per cui defluiscono attualmente da Europa e Giappone per dirigersi negli USA.

Resta divergenza sui tassi reali

E se i tassi reali americani sono già positivi, perché la FED continuerà ad alzarli nei prossimi mesi? Perché le stesse aspettative d’inflazione dipendono dalla capacità di reazione della banca centrale. Ad agosto, l’inflazione americana era all’8,3%. Il governatore Jerome Powell non può permettersi di segnalare rilassatezza, altrimenti il mercato sconterebbe un’inflazione futura più alta. E il discorso di cui sopra andrebbe a farsi benedire. Lo stesso dicasi per la BCE, che ha il problema, però, di gestire un’economia diretta verso la recessione.

Il cambio euro-dollaro probabilmente scenderà sotto i minimi ventennali per questa divergenza monetaria attesa anche nei prossimi mesi. Mentre la FED alzerà i tassi verosimilmente fin sopra il 4,50%, la BCE dovrà fronteggiare un inverno ad alta tensione tra inflazione foraggiata dalla crisi energetica ed economia in ripiegamento. I tassi reali sembrano destinati a rimanere ben più negativi nell’Eurozona rispetto agli USA, anche con riferimento all’inflazione attesa.

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