I governi dell’Unione Europea stanno mettendo a punto un sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, che stavolta includono il petrolio. La Commissione europea ha proposto un embargo graduale entro sei mesi. Dopodiché non saranno più acquistati barili da Mosca. Faranno temporaneamente eccezione Ungheria e Slovacchia per via delle scarse alternative che avrebbero nel breve periodo i due paesi senza sbocchi sul mare. Anziché collassare, il rublo ha reagito alla notizia (scontata da settimane) salendo ai massimi da oltre due anni contro dollaro ed euro.

Il tasso di cambio contro il biglietto verde è sceso fino a 66,54 nella giornata di mercoledì. A fine febbraio erano arrivati a servire più di 140 rubli per comprare un dollaro. A questi livelli, il cambio contro il dollaro risulta rafforzatosi del 10% da inizio anno.

La Banca di Russia è oramai così poco preoccupata del rublo da avere tagliato i tassi d’interesse per due volte ad aprile, portandoli al 14%. Erano al 9,5% prima dell’invasione dell’Ucraina, successivamente alzati al 20%. Il governatore Elvira Nabiullina ha voluto smentire nei giorni scorsi le indiscrezioni secondo le quali si stia studiando l’aggancio del rublo all’oro. Tuttavia, al Cremlino il piano esiste. Il presidente Vladimir Putin intende legare il rublo sia all’oro che ad altre materie prime. Si tratterebbe a tutti gli effetti di ripristinare il “gold standard system”, in vigore in Russia tra il 1897 e la Prima Guerra Mondiale.

Peg tra rublo e oro, la Russia minaccia il dollaro

A marzo, la Banca di Russia annunciò che avrebbe acquistato oro al prezzo fisso di 5.000 rubli per un’oncia. Nei fatti, quello fu un aggancio del rublo al metallo. Due settimane più tardi, però, annunciò che gli acquisti sarebbero avvenuti a prezzi negoziati, forse nel tentativo di fermare l’eccessivo rafforzamento del cambio. Sta di fatto che le sanzioni non starebbero facendo male come credevamo.

Perché? C’è da dire che affidarsi al solo segnale lanciato dal tasso di cambio per capire l’efficacia dell’embargo sarebbe fuorviante. La Russia ha imposto controlli sui capitali, ragione per cui la domanda di valuta straniera è tenuta artificiosamente bassa. Inoltre, gli investitori stranieri non possono vendere azioni e obbligazioni, se non dietro autorizzazione.

Contribuiscono a dare forza al rublo anche le scadenze fiscali, le quali impongono alle società esportatrici di convertire altra valuta per pagare le tasse. E già sono costrette dalla fine di febbraio a convertire almeno l’80% dei ricavi maturati in valute straniere. Dunque, un coacervo di misure starebbe tenendo alto il rublo. Detto questo, l’ipotesi del “peg” con l’oro e altre materie prime sarebbe da non sottovalutare. La Russia estrae il 10% del metallo offerto annualmente nel mondo. Avrebbe teoricamente la quantità necessaria per garantire la moneta con un asset prezioso e universalmente riconosciuto. Sarebbe un precedente pericoloso per il dollaro, anche perché l’eventuale successo dell’iniziativa aprirebbe la strada all’adozione di in simile sistema nel resto dell’Asia, dove le materie prime abbondano. E la Cina non vede l’ora di insidiare il primato della finanza dollaro-centrica.

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