Giovedì, il cambio tra dollaro e rublo è sceso di circa il 5% a un minimo di 75,60. La valuta russa si è così riportata sostanzialmente ai livelli di inizio anno, quando ancora la guerra con l’Ucraina sembrava uno scenario remoto sui mercati finanziari. Un fatto a dir poco spettacolare, se si pensa che solamente alla fine di febbraio stessimo celebrando i funerali del rublo, colato a picco subito dopo la comminazione delle dure sanzioni dell’Occidente contro la Russia. Tra queste, il “congelamento” delle riserve valutarie russe per 300 miliardi di dollari.

Tra i fattori che hanno giocato a favore del rublo ci sono certamente i controlli sui capitali, il fatto che l’Europa continui a comprare gas e petrolio russi, le deboli importazioni russe dal resto del mondo (anche per via delle sanzioni), il trading limitato sul mercato valutario, ma non possiamo chiudere gli occhi dinnanzi all’ancoraggio all’oro. Alla fine di marzo, il governatore della Banca di Russia, Elvira Nabiullina, ha annunciato che avrebbe ripristinato gli acquisti di oro, stavolta fissandoli a un prezzo di 5.000 rubli per grammo.

Poiché sui mercati internazionali un grammo di oro si compra per 62 dollari, di fatto la Russia ha fissato un tasso di cambio implicito di circa 80,5 rubli contro il dollaro. Forse non è stato un valore casuale, dato che corrisponde a quello vigente sul mercato valutario poco prima dell’invasione dell’Ucraina. Ma ad inizio 2022, con un dollaro si acquistavano 75 rubli. E giovedì si è tornati a quei livelli.

Rublo super grazie all’oro

Piaccia o meno, per il momento questa strategia contribuisce a rafforzare il rublo. E’ frustrante per l’Occidente, che avrebbe desiderato un crollo marcato e duraturo del cambio russo, così da indurre il Cremlino a più miti consigli su Kiev. C’è un aspetto poco indagato sinora di questa operazione. Se Banca di Russia si è impegnata a comprare oro a 5.000 rubli al grammo, di fatto sta ponendo un “floor” anche alle quotazioni del metallo.

Ci sta dicendo, in sostanza, che lo comprerà a 155.500 per oncia troy. Al tasso di cambio implicito di 80,6, ciò corrisponde a circa 1.930 dollari.

Immaginiamo che le quotazioni dell’oro scendano a 1.850 dollari. Chi ha lingotti in portafoglio, può pensare di venderlo proprio alla Russia, che lo acquisterà a prezzi più alti, per l’appunto a 1.930 dollari. E così, l’oro non si allontanerebbe di molto da questa quotazione. A meno che il rublo non si fosse nel frattempo rafforzato troppo. Ad esempio, a una quotazione di 76 del giovedì scorso, 5.000 rubli equivalevano a 65,80 dollari, il 6% in più della quotazione per grammo dell’oro. Non avrebbe avuto convenienza quel giorno rivolgersi a Mosca per vendere il metallo a tale tasso di cambio. Tant’è che proprio giovedì, la Banca di Russia ha annunciato che non acquisterà più oro a prezzo fisso, “date le mutate condizioni di mercato”. Il giorno successivo, a sorpresa ha tagliato i tassi d’interesse, forse nel tentativo di indebolire un po’ il tasso di cambio.

In effetti, se l’oro s’indebolisse, dovrebbe farlo anche il rublo. Dunque, l’Occidente dovrebbe puntare proprio sulla caduta del metallo per ottenere il risultato di deprezzare il rublo. Tuttavia, questa operazione sarebbe rischiosa e poco fattibile. L’oro non è un mercato granché manipolabile, a meno che le banche centrali iniziassero a vendere le loro riserve. Ma sarebbe una vittoria di Pirro, dato che si priverebbero di un asset prezioso e che segnala solidità finanziaria. In altre parole, l’Occidente dovrebbe intaccare le sue riserve per cercare di distruggere quelle russe. Non avrebbe senso.

La strategia di Putin può reggere a lungo?

Dunque, il rublo ancorato all’oro ha dribblato le sanzioni? La situazione è molto più complessa.

Il mondo non inizierà a comprare rubli per il solo fatto che Mosca abbia deciso di fissarne il rapporto con il metallo. L’economia russa è di dimensioni modeste. Se il resto del pianeta iniziasse a comprare oro dalla sua banca centrale, la quantità di rubli richiesta diverrebbe insostenibile: l’eccessiva liquidità rilasciata sui mercati provocherebbe inflazione e l’istituto dovrebbe cessare gli acquisti per non perdere la stabilità dei prezzi. Anche perché difficilmente quei rubli richiesti dagli investitori per vendere oro rimarrebbero in portafoglio. La valuta russa non servirebbe quasi a niente altro, a meno di immaginare che sia prima o poi utilizzata per importare le materie prime fornite dalla federazione. In ogni caso, pochissima roba. Tutto l’export russo incide per meno dello 0,4% del PIL globale.

L’ancoraggio del rublo all’oro serve senz’altro a prendere tempo, funge anche da rassicurazione nei confronti del mercato. Difficile in tempi di guerra, tra spese militari necessariamente in crescita e, oltre tutto, sotto embargo. La fine della convertibilità del dollaro in oro, infatti, fu dichiarata dall’amministrazione Nixon nel 1971 per l’impossibilità di sostenere altrimenti le ingenti spese legate alla guerra in Vietnam. Affinché la mossa diventi credibile, è necessario che i conti pubblici restino in ordine e le riserve valutarie smettano di contrarsi. In teoria, ciò avverrebbe con afflussi di capitali esteri per acquistare proprio oro in cambio di rubli. Ma da sola questa operazione non reggerebbe a lungo, date le criticità sopra accennate.

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