Il governo fa una mezza marcia indietro sui due decreti presentati per il riordino della disciplina sul noleggio con conducente e i venditori ambulanti. Se ne riparlerà entro un mese, anche se il ministro allo Sviluppo, Carlo Calenda, sarebbe intenzionato a recepire fino in fondo la direttiva Bolkenstein, quella che liberalizza i servizi nella UE. Soddisfatti i tassisti, che hanno cessato la protesta nelle principali città italiane, dopo giorni di tensioni ed episodi di violenze. Ma cosa ha acceso di nuovo la miccia, a distanza di circa un decennio da un’altra vivace protesta dei tassisti a Roma?
La parola tanto contestata è “liberalizzazioni”.
Licenze taxi rilasciate gratis, ma rivendute a costi salati
Alla base della contestazione dei tassisti c’è la consapevolezza che la liberalizzazione del comparto farebbe crollare il valore delle licenze loro assegnate dai comuni e sul quale da anni vige il far west. Già, perché la legge n.21 del 15 gennaio 1992 prevede sì che le licenze possano essere trasferite in capo a un altro soggetto, se munito dei requisiti, ma nulla chiarisce se ciò possa effettuarsi a titolo oneroso o meno.
Formalmente, le licenze sono titoli rilasciati dagli enti pubblici, revocabili da questi in qualsiasi momento. Che un tassista ceda a terzi la licenza per operare è un conto, ma che possa farlo dietro compenso è questione dibattuta, specie dopo che nel 2005 l’Agenzia delle Entrate iniziò a imporre una tassazione del 22% sui ricavi presunti derivanti dalla cessione, inquadrandoli come compensi su mancati guadagni futuri.
Tariffe taxi elevate con scarsa concorrenza
Il valore delle licenze è determinato dal mercato chiuso dei taxi. In sostanza, il comune rilascia gratuitamente una licenza e questa assume immediatamente un elevato valore commerciale per il titolare, grazie al fatto che il numero complessivo delle licenze sia limitato e le tariffe così formatesi sul mercato risultano di gran lunga superiori a quelle che sarebbero spuntate in un regime di libera concorrenza.
I tassisti possono anche vantare ragioni, quando sostengono che le liberalizzazioni o la concorrenza “sleale” di Uber crea loro danni, in quanto hanno acquistato mediamente le licenze per 150-250 mila euro. Molti hanno contratto un mutuo allo scopo, offrendo alle banche in garanzia un immobile di proprietà. Detto questo, il mercato delle licenze non avrebbe nemmeno ragione di esistere, perché ripetiamo, esse vengono rilasciate gratuitamente dagli enti pubblici.
Battaglia contro Uber anacronistica
Un tassista che cede a terzi la licenza (legittimamente, in assenza di un divieto chiaro) starebbe speculando sul “privilegio” di essere tra i pochi titolari di un documento, senza il quale non si potrebbe operare nel settore e che è stato da lui ottenuto senza costi. La battaglia di retroguardia contro Uber sembra anacronistica, oltre che il segno di un’avversione atavica nel nostro paese contro il libero mercato, l’idea di concorrenza, definita sempre sleale, quando intacca lo status quo. (Leggi anche: Uber, il taxi che costa meno)
Si possono studiare i modi di transitare l’attuale regime verso uno nuovo ed aperto, ma l’obiettivo dovrebbe essere condiviso da tutte le forze politiche, cosa che non è, per via delle pressioni lobbistiche praticate dalla categoria per salvaguardare l’attuale sistema.