L’esito della riunione appare scontato, ma alla Banca Centrale Europea (BCE) i toni si alzano in vista del board di giovedì prossimo. Questa settimana, a scendere in campo è stato Ignazio Visco. Se già l’altro italiano presente nel Consiglio, Fabio Panetta, si era espresso per una linea di comunicazione più prudente, il governatore della Banca d’Italia ha attaccato i colleghi del Nord Europa sul fatto che abbiano messo le mani avanti circa il rialzo dei tassi d’interesse dopo marzo.

Visco ha spiegato di non condividere questo atteggiamento, che contraddice le decisioni adottate dall’ultimo board e impostate su valutazioni dipendenti dall’evoluzione dei dati macro.

Le richieste dei falchi sui tassi d’interesse

In pratica, l’italiano rimprovera ai “falchi” di avere sovvertito gli accordi di febbraio, facendo passare informalmente una loro linea fondata su richieste di stretta sui tassi ad oltranza. Il governatore austriaco Robert Holzmann crede che la BCE debba aumentare i tassi sui depositi bancari per altre quattro volte al ritmo dello 0,50%. Il tedesco Joachim Nagel sostiene che i tassi d’interesse debbano salire anche a maggio qualora l’inflazione di fondo non scenda.

Se la BCE sposasse la visione di Holzmann, i tassi d’interesse salirebbero al 4,50% sui depositi e al 5% per i prestiti di riferimento alle banche commerciali nell’Area Euro. A febbraio, furono innalzati rispettivamente al 2,50% e al 3%. E il mercato sconta che i primi si portino fino 4-4,25%. Dunque, una politica monetaria più “hawkish” aumenterebbe ulteriormente i rendimenti sovrani nell’area, specie in paesi molto indebitati come l’Italia. Lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha ammesso che sarebbe un problema per i conti pubblici.

Scarse speranze per le colombe

Le “colombe” come Visco e Panetta sono in netta minoranza nel board. E hanno pure pochi assi nelle loro maniche.

L’inflazione a febbraio nell’Area Euro è scesa di appena un decimo di punto percentuale all’8,5%. Il dato “core”, al netto di energia e alimentari freschi, è salito dal 5,3% al 5,6%. Gli italiani, insieme a qualche altro collega del Sud Europa, potranno solamente eccepire che meglio sarebbe l’opzione “wait and see”, attendere cioè che la politica monetaria sin qui seguita dispieghi i suoi effetti. Ed è noto che essa li produca con un certo ritardo temporale.

Ma le argomentazioni delle “colombe” si concludono qui. Il cambio euro-dollaro è sceso ben sotto 1,06. Era a 1,10 nel giorno del primo board BCE dell’anno, cioè appena cinque settimane fa. Mostrarsi titubanti sui prossimi rialzi dei tassi d’interesse rischia di accentuare la debolezza della moneta unica e di favorire la ripresa dell’inflazione per via dei maggiori costi per i beni importati.

Il giallo dell’inflazione olandese

Né qualcuno può seriamente convincersi che il “giallo” sulle statistiche olandesi offra qualche assist credibile ai contrari alla stretta. Il tasso d’inflazione in Olanda sarebbe risultato sovrastimato. L’istituto nazionale di statistica prende in considerazione solo i nuovi contratti per valutare i prezzi del gas. Poiché questi sono esplosi nel corso del 2022, il dato sarebbe stato superiore al costo effettivamente sostenuto dalle famiglie, molte delle quali beneficiavano e continuano a beneficiare di tariffe inferiori contratte prima del boom.

Sembra che non solo l’Olanda abbia applicato questa metodologia di calcolo, destinata ad essere rimpiazzata dai prossimi mesi da valutazioni medie dei contratti stipulati. Il fatto spinge parte della stampa a sostenere che la BCE sarebbe stata tratta in errore dai dati e avrebbe alzato i tassi d’interesse a sproposito. L’apice dell’inflazione, al 14,5% nel settembre scorso, sarebbe stato poco più della metà in Olanda, seguendo un sistema di calcolo più appropriato per i prezzi del gas.

Detto ciò, risulta incredibile affermare che Francoforte non avrebbe dovuto alzare i tassi o avrebbe dovuto farlo più lentamente. È stata tra le grandi banche centrali quella ad essere intervenuta più tardi e con maggiore prudenza. Troppa, forse, tant’è che si trova costretta a recuperare prospettando tassi d’interesse più alti nei prossimi mesi.

È vero, la stretta farà male all’economia ed è rischiosa per i soggetti pubblici e privati iper-indebitati. Ma di questo non si occupa la BCE, tenuta a garantire la stabilità dei prezzi. Semmai, quanto accaduto nell’ultimo anno e le polemiche sempre più furenti tra “falchi” e “colombe” testimoniano che nell’Area Euro sia rimasto irrisolto il nodo dei nodi: la tutela dei titoli di stato dagli attacchi speculativi. Il piano anti-spread varato nel luglio 2022, noto come TPI, è semplicemente ridicolo: limitato, non automatico e fortemente condizionato. Insomma, non serve a niente. La scarsa fiducia tra Nord e Sud Europa continua a tenere lontano un accordo che renderebbe possibile per la BCE intervenire più tempestivamente e appropriatamente per garantire la forza dell’euro e la stabilità dei prezzi. In sua mancanza, giovedì 16 marzo voleranno gli stracci a Francoforte.

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