Il prezzo del petrolio sale stamane, con il Brent a segnare +0,73% a 69,22 dollari al barile. E questo, nonostante il PMI manifatturiero a maggio sia cresciuto leggermente meno delle attese e rispetto ad aprile. E anche i dati pubblicati dal Giappone hanno deluso le aspettative, con le vendite al dettaglio cresciute in aprile meno del previsto. Il dato cinese appare di grande importanza. Esso segnalerebbe che per il momento la seconda economia mondiale potrebbe avere toccato il picco. Il PIL ha nei fatti cancellato le perdite provocate dal Covid nel corso dei primi mesi del 2020.

Allo stesso tempo, i recenti rialzi dei prezzi delle materie prime avrebbero messo in affanno le piccole imprese.

Quest’ultimo segnale anticiperebbe possibili contraccolpi anche per il resto delle economie mondiali in fase di ripresa. Il boom delle materie prime, tra cui dello stesso prezzo del petrolio, da un lato risente del recupero della domanda, dall’altro rischia di anticiparne troppo ed eccessivamente il trend futuro, finendo per colpirla insieme alla produzione.

Ma gli analisti si mostrano complessivamente ottimisti circa il prezzo del petrolio. Secondo ANZ, la crescita della domanda supererà quella dell’offerta di 650.000 barili al giorno nel terzo trimestre e di 950.000 nel quarto. E il dato sconta già un aumento dell’offerta iraniana di 500.000 barili al giorno. Per questo, le quotazioni dovrebbero superare i 70 dollari a cui si sono portate negli ultimi mesi.

Prezzo del petrolio e il fattore OPEC

Domani, l’OPEC Plus si riunisce a Vienna per discutere sul graduale incremento dell’offerta dopo il maxi-taglio deciso nella primavera del 2020. Il vertice dovrebbe confermare un aumento dei barili quotidiani di 840.000 a partire da luglio. Tutto scontato dal mercato, così come appare quasi certo il raggiungimento di un accordo tra USA e Iran circa il programma di arricchimento dell’uranio da parte di Teheran.

Si tornerebbe all’intesa di fine 2015, che dal 2016 consentì alla Repubblica Islamica di esportare petrolio dopo un embargo durato un quadriennio.

La maggiore offerta sul mercato mondiale che ne deriverebbe frenerebbe il rialzo del prezzo del petrolio. Resta il fatto che le estrazioni americane siano ancora di 2 milioni di barili al giorno più basse del periodo pre-Covid. E l’OPEC non ha alcuna intenzione di correre ad alzare la propria produzione per tenere perfettamente il passo con la domanda. Diversi suoi membri sono alle prese con grosse difficoltà fiscali a seguito del ripiegamento delle quotazioni e del necessario aumento della spesa pubblica nel corso del 2020. E, soprattutto, i sauditi vogliono sfruttare questa finestra per tornare a espandere le proprie quote di mercato in Asia e ai danni dei concorrenti americani.

Un prezzo del petrolio sopra i 70 dollari contribuirà chiaramente a surriscaldare il tasso d’inflazione presso le economie importatrici. La pressione sulle banche centrali aumenterà. Già in aprile, l’inflazione negli USA è salita al 4,2% e ci si aspetta che a maggio culmini al 4,5%. Nell’Eurozona, ci si aspetta che temporaneamente centri e superi il target di poco inferiore al 2%. Per quanto si tratterebbe di una “fiammata”, l’apparato degli stimoli monetari messi in campo nell’ultimo anno diverrebbe sempre meno sostenibile. Un pezzo di ripresa economica è nelle mani dei sauditi.

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