C’è tensione tra Commissione europea e Italia. Roma non ratifica ancora la riforma del MES e Bruxelles non eroga la terza rata del Pnrr da 19 miliardi di euro. Un gioco di dispetti che la dice lunga sulle basi su cui poggia l’Unione Europea. Se pensiamo di vincere la sfida della post-globalizzazione in queste condizioni, auguri. Il Meccanismo europeo di stabilità è anche noto con l’espressione di Fondo salva-stati. Nacque durante la crisi dei debiti sovrani di inizio decennio scorso.

In era Covid, subì una modifica per renderlo più adeguato ai tempi. La riforma prevede una dotazione a favore del Fondo di risoluzione unico a sostegno delle banche in caso di crisi e finanziato dagli stessi istituti. Vengono altresì semplificate le procedure per il caso di rinegoziazione dei debiti sovrani. Si passa dal dual- al -single-limb, cioè eventualmente gli obbligazionisti coinvolti voterebbero all’interno di un’unica assemblea.

Fondo salva-stati strumento inutilizzato

Qual è il punto? Il MES è un ente a cui nessuno stato ha mai fatto ricorso. Motivo? Troppo rigido nelle condizioni imposte a chi richiede assistenza e, soprattutto, la paura per l’effetto stigma. In pratica, se chiedi aiuto rischi di essere tacciato come se fossi un paese fallito e si scatenerebbe la speculazione. Praticamente, il MES c’è e non c’è. Non lo ha voluto nessuno neppure in pandemia. Malgrado l’allentamento delle condizioni annesse ai prestiti, non c’è stata sufficiente fiducia sullo strumento in sé e sulle conseguenze che avrebbe avuto sui mercati.

In pratica, è come se un padre tenesse un conto in banca “congelato” nell’attesa che qualcuno dei suoi figli gli chieda un prestito. Ma i figli preferiscono fare due o tre lavori, pur di non andare dal padre a chiedere aiuto. Temono i suoi rimproveri e che vada a raccontare in giro di avere figli inaffidabili e sfigati.

Meglio lasciar perdere.

Meccanismi diabolici in UE

Poi c’è il Pnrr, un capolavoro degno dei commissari. In pandemia si temette che paesi come l’Italia sarebbero andati a gambe per aria. Oltre a sospendere il Patto di stabilità e ad allentare la politica monetaria come mai prima, i governi concordarono l’istituzione di un fondo da destinare ai paesi più in difficoltà. Ben 750 miliardi, di cui 390 sussidi e 360 prestiti. L’Italia si beccò la fetta più grossa: 120 miliardi di prestiti e una settantina di sussidi. Questi denari sono erogati dietro numerosissime micro-riforme da adottare e i governi richiedenti dovranno rendicontare più volte all’anno le voci di spesa per cui sono stati richiesti. Paesi come la Spagna hanno atteso quasi tre anni prima di chiedere i prestiti, accontentandosi dei soli sussidi. Per una ragione semplice: le complicazioni burocratiche per incassare le rate sono fortissime.

Ma non è neppure questo il vero punto critico del Pnrr. Il meccanismo è a dir poco diabolico: gli stati nazionali versano denaro a Bruxelles, che a sua volta lo gira agli stessi stati nazionali in forma di prestiti e sussidi. Non sarebbe preferibile che i primi spendessero direttamente, anziché affidarsi a una partita di giro? Il fatto è che se l’Italia aumentasse gli investimenti pubblici ricorrendo all’indebitamento, i mercati finanziari la punirebbero. Il nostro debito risulta già altissimo e verosimilmente i fondi e le banche internazionali non ci presterebbero più soldi. Ecco, quindi, che l’Italia s’indebita per staccare un assegno alla Commissione, al fine di ricevere tale denaro dalla stessa Commissione a cui lo ha versato.

MES e Pnrr palliativi europei

Questo meccanismo comico è percepito più rassicurante. Il debito è correlato alla realizzazione di numerose riforme di stimolo alla crescita e sarà rimborsato a costi inferiori a quelli che l’Italia sosterrebbe da sé.

Per evitare questa farsa basterebbe che la Banca Centrale Europea (BCE) svolgesse il proprio lavoro, cioè che impedisse che gli spread salissero a livelli intollerabili. A differenza del finto scudo anti-spread varato nel 2022, ne serve uno incondizionato, automatico e illimitato. Solo così i mercati richiederebbero sui BTp rendimenti grosso modo simili a quelli dei Bund. Questo sarebbe l’unico modo per far funzionare un’unione monetaria. C’è un problema: il Nord Europa lo considera ingiusto. Perché i suoi cittadini dovrebbero fare sacrifici per via delle politiche fiscali solide praticate, quando al Sud i governi continuerebbero a fare le cicale?

L’assenza di fiducia è il principale ostacolo alla costruzione di una vera Unione Europea. Quella di oggi è una caserma in cui alcuni puntano il dito contro gli altri. MES e Pnrr sono la punta dell’iceberg. Sono stati congegnati per cercare di sventare i rischi di volta in volta fiutati alla sopravvivenza delle istituzioni comunitarie, ma finiscono per costruire un mausoleo del male. Sarebbe paradossalmente un bene per tutti se questi strumenti fallissero. Fintantoché Bruxelles pensa che potrà andare avanti a cure palliative, avremo malati sempre più gravi. La situazione va affrontata di petto. Si sta insieme solo se esistono voglia, reciproca fiducia e condizioni basilari di rispetto. L’idea che paesi come l’Italia debbano continuare in eterno a rendicontare un giorno sì e l’altro pure l’impiego del proprio stesso denaro, non si regge in piedi. Non esiste in alcuna parte del pianeta che la gestione di un paese funzioni così. E i partiti che la abbracciano sono ripetutamente battuti a ogni elezione.

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