Ieri, il vice presidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, ha semi-promosso l’Italia sui conti pubblici, riconoscendo gli sforzi compiuti dal governo giallo-verde e da quello giallo-rosso nel 2019 sul fronte della lotta all’evasione fiscale, tra l’altro con l’introduzione della fatturazione elettronica. Allo stesso tempo, ha bocciato quota 100 sulle pensioni, dichiarando che avrebbe ridotto ulteriormente i margini a disposizione dell’Italia per sostenere la crescita economica. E il commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni, ha assicurato che sul deficit l’Italia otterrà la dovuta flessibilità, anche in considerazione dell’impatto che sta avendo il Coronavirus sul nostro Paese, pur ribadendo che restiamo tra gli stati con “squilibri macroeconomici eccessivi”, a differenza di Germania e Francia, che li hanno “moderati”.

Tassi zero a lungo o austerità fiscale: debito pubblico italiano appeso alla BCE

Chi pensa che Bruxelles sia divenuta più ragionevole si sbaglia. Il messaggio politico che è arrivato dai commissari va tutto nella direzione di offrire un qualche sollievo al governo Conte, in grosse difficoltà su più fronti, da ultimo l’epidemia cinese, al contempo rimarcando l’opposizione alla misura della Lega sventolata come un vessillo sin dal 2018. E il lettone ha avuto anche parole di apprezzamento per l’entrata in vigore da gennaio della legge sulla prescrizione, giudicandola in linea con le raccomandazioni UE “da lungo tempo”, in quanto accelererebbe lo svolgimento dei processi.

Non solo la Commissione bacchetta la Lega, ma mette quasi sull’attenti la componente governativa più “ribelle” di questa fase, quell’Italia Viva di Matteo Renzi, che in queste settimane sta conducendo una battaglia con toni aspri proprio sulla prescrizione. Coincidenze? Niente affatto. La flessibilità annunciata sui conti pubblici e i giudizi relativamente generosi esternati sulle politiche del governo scontano un prezzo da pagare e che alla cassa verrà battuto con tre lettere: MES.

Il Fondo salva-stati è ancora al centro delle negoziazioni tra i governi, sebbene si starebbe ormai discutendo sui dettagli, con l’Italia che avrebbe dato il suo assenso alle stesse riforme annunciate nei mesi scorsi e alle quali formalmente aveva negato l’appoggio, date le furenti polemiche in patria.

Riforma MES e più deficit

Le riforme renderanno più facile la ristrutturazione dei debiti sovrani, condizione “sine qua non” per ottenere l’eventuale assistenza finanziaria richiesta dai governi. Il timore espresso persino dalla Banca d’Italia, pur successivamente rientrato per salvare le forme, consiste nel fatto che i mercati inizierebbero a discriminare più di oggi tra bond e bond, scontando un rischio di credito maggiore per quelli emessi da stati finanziariamente più deboli, come lo è l’Italia con un rapporto debito/pil al 135%. Gli spread si amplierebbero e finirebbero con l’avverare la profezia, spingendo i governi in difficoltà a fare effettivamente ricorso alle Clausole di Azione Collettiva per ristrutturare i titoli e per poi chiedere aiuto al MES.

Al premier Giuseppe Conte preme più che mai superare l’oggi. La sopravvivenza del suo governo è appesa all’andamento dell’economia da un lato e alla capacità di ricomporre le gravi fratture nella maggioranza. Egli non può permettersi di indisporre gli alleati europei, rischiando altrimenti di subirne le conseguenze sui mercati finanziari a colpi di spread, nel caso in cui gli investitori tornassero a scontare le tensioni tra le due parti. Da qui, l’accettazione dello scambio: più deficit per l’anno prossimo, così da limitare l’eventuale stangata fiscale necessaria per far quadrare i conti pubblici, anche perché le clausole di salvaguardia per il 2020 sono state disattivate in gran parte ricorrendo all’indebitamento, in perfetta continuità con gli anni precedenti. In cambio, però, l’Italia dovrà votare a favore della riforma del MES.

Ne pagherà le conseguenze nel medio-lungo periodo, ma per allora non ci sarà Conte a Palazzo Chigi.

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