Ci sono buone notizie dal fronte dell’economia. L’Istat ha aggiornato le stime sul Pil italiano, che nel 2023 risulta essere cresciuto sia in volume che in valore più dei calcoli preliminari resi noti a fine gennaio. La crescita dello scorso anno è stata rivista al rialzo allo 0,9% dallo 0,7% iniziale. E ai prezzi correnti c’è stata un’ancora più forte revisione: si è passati da 2.033,6 a 2.085,4 miliardi di euro. Un +52 miliardi pieni, che fanno benone ai conti dello stato. Infatti, il debito pubblico a fine dicembre scorso ammontava a 2.862,8 miliardi.

In base alla precedente stima, esso valeva il 140,8% del Pil italiano. A seguito della revisione, scende al 137,3%. Era al 141,7% nel 2022. E stando alla Nota di aggiornamento al Def (Nadef) del governo, sarebbe dovuto scendere al 140,2%.

Effetto Superbonus sul deficit

Dunque, è andata molto meglio. Questo dato contrasta apparentemente con quello sul deficit fiscale, sceso al 7,2% dall’8,6% del 2022. Ma nella Nadef di settembre era stato stimato al 5,3%. Siamo dinnanzi a una differenza di quasi due punti percentuali. Altissima per non attirare la nostra attenzione. Cos’è accaduto? In attesa che il Tesoro pubblichi la relazione a fine trimestre, quasi certamente avrà inciso il Superbonus. Il maxi-incentivo era stato già causa di revisione al rialzo del disavanzo per il 2023 dal precedente 4,5%.

Alla luce di quanto detto, possibile che il Superbonus abbia zavorrato i conti dello stato di una quarantina di miliardi oltre alle già allarmanti previsioni. Questo, però, non si è riflesso sul debito pubblico. Per la contabilità utilizzata dall’Eurostat, infatti, gli sconti in fattura ammessi vanno computati sul deficit interamente nell’anno in cui sono stati avviati i lavori, ma non sullo stock complessivo.

Debito pubblico in picchiata sul Pil italiano

Nel 2020 il debito pubblico raggiunse il picco rispetto al Pil italiano con il 154,9%. In soli tre anni, quindi, risulta essere sceso di quasi diciotto punti percentuali e attestandosi poco sopra i livelli pre-Covid, quando era al 134,2%.

Un buon dato per il governo, che quest’anno dovrà raccogliere complessivamente oltre 500 miliardi di euro con le emissioni lorde di titoli di stato. Convincere i mercati con un debito in forte calo sarà più semplice, specie in un ambiente di tassi attesi in discesa.

La stretta al Superbonus sgonfia le costruzioni

I dettagli sul Pil italiano ci offrono la possibilità di cogliere sfumature interessanti. L’anno scorso, i consumi delle famiglie sono cresciuti del 5,1%, attestandosi al 59% dell’intero prodotto. Considerato che l’inflazione nel periodo è stata del 5,7%, ne deduciamo che siano diminuiti dello 0,6% in volume, cioè in termini reali. E il settore delle costruzioni ha smesso di trainare la crescita, segnando sì un aumento del 3,5%, ma non solo inferiore al +6,2% del Pil italiano nominale, bensì in fortissimo calo dal +19,2% del 2022 e specialmente dal +35,6% del 2021.

Cos’è successo lo sappiamo. La stretta al Superbonus ha fermato molti cantieri e rallentato i lavori. Tuttavia, il settore valeva ancora 226,6 miliardi, il 10,9% del Pil italiano. Considerate che prima del Superbonus e della pandemia, esso valeva 143,7 miliardi, all’8%. Se si riportasse ai livelli pre-Covid, assisteremmo a un calo assoluto, che inevitabilmente deprimerebbe il Pil italiano, a meno che non venisse compensato da altri settori.

Spesa pubblica al 55% del Pil italiano

Tra i dati salienti, anche la spesa delle amministrazioni pubbliche, in crescita di appena lo 0,8%, ben sotto l’inflazione. Era stata del +5,3% nel 2022. Da registrare il calo degli stipendi pubblici di quasi 1 miliardo, qualcosa come lo 0,5%. Tenuto conto dell’inflazione, la riduzione risulta essere stata ben maggiore in termini reali. Questa voce è scesa a 186,5 miliardi, pari all’8,9% del Pil italiano. La spesa corrente, invece, è salita di 22 miliardi a 881,4 miliardi (+2,6%). Anche in questo caso, comunque, meno della metà dell’inflazione. Compresa la spesa per interessi (in calo a 78,6 miliardi) e quella in conto capitale a +14,8% a 186 miliardi, lo stato ha sborsato in tutto 1.146 miliardi, esattamente il 55% del Pil italiano.

Dire che vi siano spazi di manovra per ridurre l’onere complessivo è un eufemismo.

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