Petrolio in recupero anche oggi sui mercati, con il Brent a tornare in area 63 dollari al barile e il Wti americano a 54 dollari, dopo che la settimana scorsa le quotazioni risultavano scese rispettivamente sotto i 58 e i 50 dollari. Resta il crollo rispetto a due mesi fa, quando per un barile di Brent occorrevano più di 86 dollari, il livello più alto da 4 anni. Per i consumatori, non necessariamente solo automobilisti, una buona notizia, perché come notiamo dal grafico di cui sotto, greggio in calo equivale sostanzialmente a una decelerazione dell’inflazione, ovvero a un indebolimento della crescita dei prezzi.

Rispetto alla media del periodo studiato (2008-2018), le quotazioni petrolifere si attestano oggi su livelli di circa il 23% più basse. Nell’Eurozona, l’andamento dell’inflazione segue pedissequamente quello delle quotazioni, essendo l’area importatrice di energia e risentendo, quindi, delle variazioni dei prezzi internazionali:

A rigore, va detto che le quotazioni del petrolio potrebbero diminuire o salire, senza che ciò impatti in alcuna direzione l’inflazione nell’Eurozona, essendo espresse in dollari. Bisogna, infatti, valutare l’andamento del Brent in relazione al cambio euro-dollaro. Convertendo i prezzi in euro, sulla base dei tassi di cambio vigenti mediamente di anno in anno, troviamo risultati del tutto simili a quelli mostrati dal grafico precedente:

Questo andamento sostanzialmente identico tra quotazioni in dollari e quotazioni in euro rispetto all’inflazione nell’Eurozona ci spinge a indagare meglio il legame tra quotazioni internazionali (in dollari) del petrolio e cambio euro-dollaro. Notiamo quanto segue: brusche variazioni dei prezzi del greggio sono accompagnate da variazioni altrettanto importanti del cross valutario tra le prime due valute mondiali. Quando il petrolio crolla di prezzo, il dollaro tende a rafforzarsi contro l’euro e, viceversa, quando s’impenna, il dollaro tende a perdere quota piuttosto nettamente contro la moneta unica.

Tra il 2014 e il 2015, ad esempio, il Brent perse oltre il 46% e contestualmente il dollaro si apprezzò del 16,4% medio sull’euro. Aldilà delle cause legate alla divergenza monetaria tra Federal Reserve e BCE, possiamo concludere che il petrolio risenta negativamente delle variazioni del dollaro e a sua volta influenzerebbe il cambio euro-dollaro positivamente, segno forse che il mercato sconterebbe una reazione di Francoforte più vigorosa, visto che, a differenza dell’America, l’Eurozona deve importare tutto il petrolio di cui ha bisogno, subendone più nitidamente gli effetti dei mutamenti di prezzo. Se così è, dovremmo attenderci nei prossimi mesi un rallentamento dell’inflazione nell’area e un cambio dell’euro debole.

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