Per la prima volta dopo diversi decenni, siamo guardati con un pizzico d’invidia nel resto d’Europa. La ripresa italiana si sta rivelando vigorosa e in testa alle classifiche internazionali. Il PIL atteso dal governo Draghi quest’anno crescerebbe del 6,4%, a fronte di un tasso d’inflazione medio dell’1,5%. Una condizione ottimale, almeno in apparenza, caratterizzata da alta crescita e bassa inflazione. I tedeschi non potrebbero sognare di più.

Addirittura, nei giorni scorsi il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, è arrivato a ipotizzare un PIL sopra il +6% con la fine dello “smart working” per i dipendenti pubblici.

Per quanto al direzione appaia essere certamente quella di una maxi-crescita, la saggezza dovrebbe imporre un po’ più di prudenza. Buona parte della performance dipenderà da condizioni esogene, cioè non controllabili e di natura internazionale. Due di queste si chiamano prezzo del petrolio e cambio euro-dollaro.

I fattori che pesano sulla ripresa italiana

Secondo il governo, quest’anno mediamente il Brent quoterà 67,90 dollari al barile e il cambio euro-dollaro a 1,1975. Da inizio anno e fino a ieri, il Brent ci è costato mediamente 69 dollari e il cambio euro-dollaro si è attestato a 1,1935. Significa che, rispetto alle previsioni dell’esecutivo, il greggio è stato sinora leggermente più caro e l’euro leggermente più debole. A conti fatti, c’è una differenza di quasi il 2% che pesa sui numeri del Tesoro. Ma il problema non è certamente questo, quanto il trend. Il petrolio è salito in area 85 dollari e il dollaro si sta rafforzando contro la moneta unica per effetto del rialzo dei tassi USA previsto in anticipo rispetto a qualche mese addietro.

Se le attuali condizioni di mercato si protraessero fino alla fine dell’anno, le previsioni del governo risulterebbero disattese di circa il 7%. Inizierebbe a mutare il quadro macro e con ogni probabilità la ripresa italiana a consuntivo sarebbe limata sotto il 6%.

E, soprattutto, muterebbe lo scenario a medio termine. La politica monetaria della BCE diverrebbe inevitabilmente meno accomodante, un fatto che impatterebbe su consumi e investimenti, così come probabilmente sulla stessa spesa pubblica, a causa del minore sostegno che il governo potrebbe offrire all’economia con interventi in deficit.

A quest’ultimo proposito, il quadro programmatico stima un deficit al 3,3% del PIL nel 2024, poco sopra il target massimo consentito dal Patto di stabilità, sospeso sin dal 2020 e fino a tutto il 2022. Il dato risente di una spesa netta per interessi sul debito attesa al 2,5% del PIL, cioè sopra 51 miliardi di euro. Si tratterebbe di una discesa sensibile rispetto agli oltre 57 miliardi del 2020, quando incisero per il 3,5% del PIL. Ma le stime scontano un forte accomodamento monetario anche nei prossimi anni, con un rialzo dei tassi che la BCE avvierebbe non prima del 2023. E la musica cambierebbe con petrolio prossimo a 100 dollari, euro debole e inflazione nettamente e stabilmente sopra il target.

[email protected]