Uscire dall’euro e tornare alla lira? In Italia lo propone esplicitamente il leader leghista Matteo Salvini, mentre il Movimento 5 Stelle ha ribadito anche in questi giorni con Luigi Di Maio la volontà di indire un referendum sulla permanenza nell’Eurozona, nel caso vincesse le prossime elezioni. Più morbida la posizione dell’ex premier Silvio Berlusconi, che nel tentativo di mettere d’accordo la realtà e i sentimenti di grossa parte dei propri elettori, oltre che degli alleati, ha proposto da tempo che l’Italia resti nell’euro, ma che riacquisti la propria sovranità monetaria con una doppia moneta, come accadde subito dopo la Seconda Guerra Mondiale con le Am lire.

La misura non convince lo stesso Salvini, che l’ha giudicata una proposta “vecchia di 70 anni” e che non funzionerebbe.

Prima di esprimere una valutazione, facciamo per un attimo mente locale sul significato di una doppia moneta. Nelle intenzioni di Berlusconi, al fine di evitare di subire una maxi-svalutazione con effetti disastrosi per il potere d’acquisto delle famiglie, l’Italia continuerebbe ad adottare l’euro per i commerci con l’estero, ovvero per le importazioni e le esportazioni, mentre la nuova moneta nazionale servirebbe solo per le transazioni interne. (Leggi anche: E se il ritorno alla lira ci rendesse più responsabili?)

Commerci con l’estero resterebbero in euro

Sorge subito spontanea la domanda: ma che ci concluderemmo con una moneta diversa dall’euro per i soli scambi interni? I detrattori della moneta unica sostengono che essa ci abbia resi non competitivi, essendo il suo valore sui mercati stranieri superiore a quello che avrebbe posseduto la lira, sulla base dei fondamentali della nostra economia. L’obiettivo della doppia moneta, dunque, non potrebbe essere di rilanciare le nostre esportazioni, dato che continueremmo a commerciare in euro con il resto del mondo.

Altro problema: la doppia moneta non è contemplata dai Trattati istitutivi dell’euro. Nessun paese dell’Eurozona potrebbe utilizzare un’altra moneta al di fuori dell’euro e non potrebbe obbligare nessuno (imprese o famiglie) ad accettarne il corso legale. Per il momento, supponiamo che a Bruxelles chiudano gli occhi e si tappino orecchie e bocca. (Leggi anche: Fuori dall’euro possibile, clamorosa svolta di Draghi)

Doppia moneta come pagherò?

E il debito pubblico? Rimarrebbe in euro, ovvio. Anzitutto, perché la quasi totalità di esso è stata emessa con la clausola che impedisce la ridenominazione in un’altra valuta, ma anche perché se avvenisse una conversione, come proposta in Francia da Marine Le Pen, il mercato bombarderebbe i nostri titoli di stato e i rendimenti esploderebbero, impattando negativamente sui nostri conti pubblici.

Ma allora, questa doppia moneta a che servirebbe? Non siamo nella testa di Berlusconi, ma possiamo ipotizzare che egli avrebbe in mente l’introduzione di una sorta di pagherò, anche noti come IOU (“I Owe You”), che all’apice della crisi del debito in Grecia nel 2015 furono proposti dall’allora ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, per aggirare la crisi di liquidità che stava attraversando il suo paese. (Leggi anche: Grecia, Schaeuble insiste per l’emissione di una moneta parallela)

Come funzionerebbe la doppia moneta, intesa come pagherò

Questi certificati, in buona sostanza, sarebbero emessi dal Tesoro (pratica anch’essa vietata dai Trattati UE) e ceduti come forma di pagamento a imprese e famiglie, recherebbero una scadenza, alla quale verrebbero rimborsati dalla Banca d’Italia al 100% del loro valore nominale. Esempio: lo stato italiano emetterebbe certificati IOU dal valore complessivo di un miliardo di euro in favore delle imprese, verso le quali ha debiti per lo stesso importo. Queste potrebbero attendere la scadenza o scontarli subito in banca per incassare la somma erogata.

A questo punto, le banche tratterrebbero buona parte del valore nominale dei certificati, scontando il rischio di un default dello stato, oltre che per applicare gli interessi sul lasso di tempo intercorrente tra la data di anticipo della somma e quella della scadenza dei titoli. Le imprese incasserebbero di meno, ma subito.

Doppia moneta non avrebbe alcun senso pratico

Quale sarebbe il senso della doppia moneta, intesa come IOU? Monetizzare la spesa pubblica, ovvero provvedere subito a pagare i debiti dello stato verso famiglie e imprese. A parte che l’Italia non ha un problema di liquidità, oltre tutto, così facendo, la doppia moneta non sarebbe altro che un debito per il Tesoro. Stando così le cose, sarebbe molto più semplice emettere direttamente titoli di stato (in euro) per trovare la liquidità necessaria a rimborsare i debiti verso le imprese italiane, in particolare.

In verità, crediamo che Berlusconi non intenda nemmeno fare riferimento alla doppia moneta come certificati pagherò, ma semplicemente a un euro per gli scambi con l’estero e una lira (?) per le transazioni interne, magari nella speranza che ciò possa rinvigorire l’ottimismo tra gli italiani sulla capacità della nostra economia di riappropriarsi della sovranità necessaria per rilanciarsi. Ma i tassi d’interesse continuerebbero ad essere fissati dalla BCE, l’import-export dipenderebbe ugualmente dai tassi di cambio dell’euro e il debito pubblico resterebbe in euro. Per non parlare del fatto che sarebbe legalmente impossibile una simile soluzione.

Più che di doppia moneta, saremmo dinnanzi a mezze misure, un palliativo senza significato pratico, con l’effetto di allontanare i capitali stranieri dalla nostra economia, visto che un paese con due monete è destinato ad affievolire la fiducia di chi vorrebbe investirvi. (Leggi anche: Italia fuori dall’euro? Ecco cosa accadrebbe con il ritorno alla lira)