La Corea del Nord si è schierata con la Russia alla votazione ONU sulla guerra con l’Ucraina. E non poteva essere altrimenti. Mosca e Pyongyang sono alleati storici, accomunati fino alla caduta dell’Unione Sovietica dall’ideologia comunista e successivamente da interessi geopolitici. Comunque andrà a finire il conflitto in Europa, sembra proprio che il vincitore sarà Kim Jong-Un, il dittatore in carica da oltre un decennio e terza generazione dei Kim al potere nello “stato eremita”.

Se c’è un paese che può essere considerato “paria” nel mondo, questo è la Corea del Nord.

Isolato come nessun altro, oggetto di embargo internazionale a causa della sua corsa al nucleare per scopi bellici. Con la pandemia, il regime ha chiuso le frontiere con la Cina, praticamente suo unico partner commerciale. Le importazioni si sono azzerate, così come le esportazioni. Già prima del Covid l’economia nordcoreana era ridotta ai minimi termini, adesso è una tacca sopra il livello di carestia.

Verso commerci più fitti con la Russia

Ma la guerra tra Russia e Ucraina sta girando a favore di Kim Jong-Un. Mosca si ritrova con milioni di barili di petrolio ogni giorno invenduti a causa delle sanzioni americane. E la stesse compagnie europee hanno paura ad acquistarli, temendo rischi alla loro reputazione e sanzioni da parte degli USA. La Corea del Nord può comprare non oltre 500.000 barili al giorno per effetto delle sanzioni ONU. Tuttavia, ne consuma a malapena 18.000, tanto la sua economia versa in malora e potendo confidare perlopiù sulle estrazioni di carbone. Pensate che l’Australia, che conta una popolazione grande quanto quella nordcoreana (circa 25,5 milioni di abitanti), di petrolio ne consuma ogni giorno più di 1 milioni di barili, quasi 60 volte tanto. In Corea del Sud, siamo a 2,5 milioni di barili, a fronte di una popolazione doppia.

La Russia non ha più ragione di temere l’embargo ONU.

Come recita un detto, “non può fare più buio di mezzanotte”. La Corea del Nord potrebbe riuscire ad acquistare i barili russi a forte sconto rispetto alle quotazioni internazionali. I benefici sarebbero reciproci: Pyongyang otterrebbe un minimo di energia indispensabile per far ripartire la sua produzione; Mosca riuscirebbe a piazzare una minima parte del greggio invenduto e, allo stesso tempo, salderebbe i suoi legami geopolitici con lo stato asiatico, ora che si è giocata definitivamente l’Europa.

In più, la Russia potrebbe tornare a importare manodopera a basso costo e forzata dalla Corea del Nord, un business che negli anni passati ha fruttato parecchio alle imprese che ne hanno fatto uso, specie in Siberia, così come alle casse statali del regime comunista. E le importazioni di fertilizzanti, di cui abbonda la Russia, aumenterebbero la resa dei raccolti, riducendo la fame nel paese. Una ripresa degli interscambi commerciali avrebbe effetti espansivi sull’economia nordcoreana, la quale perlomeno smetterebbe di arretrare. Peraltro, il nuovo presidente-eletto sudcoreano Yoon Seok-youl ha vinto le elezioni su un programma di maggiore ostilità al vicino del nord e che possiamo riassumere con “prima vedere cammello”. Basta accordare fiducia ex ante a Kim Jong-Un, prima i fatti.

Corea del Nord tra le braccia di Mosca

La Corea del Nord sembra spinta più che mai tra le braccia di Cina e Russia, saldando un blocco geopolitico sempre più nitido in Asia e in funzione anti-occidentale. Per il momento, però, non sembrano visibili benefici immediati dalla guerra ucraina. Al contrario, la repressione ai danni dei “donju”, la classe imprenditoriale e benestante nordcoreana, si sta intensificando. Da un lato le frontiere con la Cina sono state parzialmente riaperte per ammettere alcuni scambi commerciali, dall’altro è guerra totale al contrabbando. Persino i funzionari del Ministero della Sicurezza di Stato e del Ministero della Sicurezza Sociale minacciano di dimettersi dai loro incarichi, spaventati per la caccia ai “corrotti” che accettano mazzette in cambio di un occhio chiuso sui traffici illeciti al confine.

Addirittura, riporta il NK-Daily, quotidiano di opposizione al regime in attività all’estero, sarebbero partite indagini per accertare la provenienza del denaro in possesso delle famiglie benestanti e andando indietro fino a un periodo di 10 anni. Senonché proprio Kim Jong-Un aveva tollerato la diffusione di molte attività imprenditoriali non ufficiali, al fine di migliorare le condizioni di vita dei nordcoreani. Adesso, il suo timore consiste nel ritrovarsi a gestire una pandemia in casa senza alcun mezzo, con una sanità praticamente inesistente. Per questo vuole far capire con processi anche esemplari – un contrabbandiere è stato condannato a 15 anni di lavori forzati – che la riapertura delle frontiere con la Cina non significa alcun ritorno alla normalità. In attesa che da Kiev arrivino buone nuove sul piano delle relazioni commerciali con l’alleato russo.

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