Nuove pessime notizie dalla Turchia. A gennaio, il tasso d’inflazione è esploso al 48,7%, ai massimi da 20 anni. L’indice dei prezzi ha compiuto un ennesimo balzo mensile e di ben l’11,1%. Le previsioni erano per aumenti tra il 9% e il 10%. A questo punto, il tasso d’interesse reale crolla a -35%. La banca centrale ha tagliato i tassi al 14% nel dicembre scorso. A settembre, erano ancora al 19%.

Il taglio dei tassi in piena inflazione ha provocato il crollo della lira turca, che è arrivata a scambiare a 18,6 contro 1 dollaro a dicembre.

Tuttavia, adesso si aggira in area 13,50 e da alcune settimane sembra essersi stabilizzata. Il presidente Erdogan ha presentato un piano, che riconosce ai titolari di risparmi depositati in lire presso le banche un interesse a copertura integrale delle eventuali variazioni negative del cambio contro le valute forti. Più in generale, il governo e la banca centrale stanno adottando misure di sostegno alla lira dalle sembianze simili ai controlli sui capitali.

Ma chi pensa che la crisi della lira turca sia alle spalle, sbaglia di grosso. Gli analisti prevedono con probabilità del 50% che il cambio contro il dollaro raggiunga e superi i minimi storici del dicembre scorso entro la fine di quest’anno. Non è difficile capire perché. La banca centrale a gennaio si è presa una pausa sul taglio dei tassi, ma il governo preme per ottenere un costo del denaro ancora più basso. Nel 2023 ci sono le elezioni ed Erdogan e il suo partito nei sondaggi languono.

Lira turca ostaggio di tassi bassi e alta inflazione

Tassi d’interesse reali negativi del 35% sono una mostruosità economica. Essi autoalimentano l’inflazione, innescando un circolo vizioso con il deprezzamento della lira turca. Immaginate di essere in possesso di 1.000 lire, che l’inflazione sia quasi al 50% come oggi e che in banca vi diano appena il 14% di interessi sui risparmi depositati.

Significa che dopo un anno, avrete 1.140 lire. Al contempo, l’inflazione ha dimezzato il potere d’acquisto. Dunque, è come se aveste 570 lire di un anno prima. Risparmiare in un mercato simile non ha senso, mentre lo ha spendere il proprio denaro prima che i prezzi di beni e servizi salgano.

L’obiettivo del governo è proprio questo: stimolare consumi e investimenti, con buona pace per la lira turca. A guardare i numeri, i primi incidono sul PIL per una percentuale simile a quella delle economie mature, cioè per il 54%. Sono gli investimenti a risultare nettamente superiori: 34%. Si consideri che in un’economia europea o nordamericana, si va generalmente dal 20% al 25% del PIL. Pur tenendo conto che si tratti di un’economia emergente, le imprese turche sovrainvestono. Non è un mistero che Erdogan voglia tenere i tassi bassi proprio per dare una mano al comparto edile, il cui sostegno al suo partito è stato ad oggi granitico. Egli crede che gli alti investimenti generino con il tempo un’offerta elevata di beni e servizi, facendo abbassare i prezzi. Il punto è che, nel momento in cui essi sono effettuati, accrescono la domanda interna, surriscaldano le aspettative d’inflazione, alimentano la spirale perversa tra rialzi dei prezzi e deprezzamento del cambio.

Per concludere, non c’è alcun motivo per credere che la lira turca resti stabile nei prossimi mesi. Solo una drastica e credibile politica monetaria restrittiva sosterrebbe il cambio e contrasterebbe l’alta inflazione. Ma non pare che ciò sia nei programmi di Erdogan, il quale torna a fare pressione sul governatore Sahap Kavcioglu per ottenere un ulteriore taglio dei tassi. E sarà così almeno fino alle prossime elezioni. Del resto, sarebbe paradossale che Erdogan tornasse sui suoi passi alla vigilia del voto dopo che gran parte della popolazione gli addebita la responsabilità del carovita.

Dovrà andare fino in fondo per dimostrare di avere ragione e sperare di ottenere risultati positivi attraverso il credito all’economia.

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