Qualche giorno fa, il governatore della BCE, Christine Lagarde, è tornata a battere sulla necessità di avere una coerenza di fondo nell’Area Euro tra politica monetaria e politica fiscale. La francese avverte il rischio che i governi si comportino come se non vi fosse in corso un rialzo dei tassi per certi versi storico nell’area. Dopo anni di costo del denaro azzerato e di acquisti di bond incessanti, Francoforte ha deciso di chiudere i rubinetti. La liquidità si va riducendo, i rendimenti sul mercato salgono e indebitarsi costa molto di più di appena un anno fa.

Eppure molti governi ancora varano potenti stimoli fiscali a sostegno di famiglie e imprese contro il caro bollette. Un fenomeno che negli anni Ottanta creò in l’Italia le condizioni per un successivo collasso finanziario.

Italia negli anni Ottanta

Chissà se Lagarde abbia studiato quanto avvenne nel nostro Paese più o meno una quarantina di anni fa. Se sì, si capisce la forza con cui porta avanti da settimane la sua argomentazione. Eravamo nel 1981 quando il ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, scrisse una lettera al governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi. Con essa intese comunicargli che d’ora in avanti l’istituto non avrebbe avuto più alcun obbligo a finanziare il governo per la parte del debito pubblico emesso e rimasto invenduto sul mercato.

La famosa lettera del “divorzio tra Bankitalia e Tesoro” chiuse una stagione di alta inflazione e, in teoria, avrebbe dovuto aprirne un’altra di bassi deficit. Di certo fu l’evento economico-finanziario più significativo degli anni Ottanta. Cosa accadde di lì in poi? Bankitalia si ritrasse dal finanziare i disavanzi dei governi di turno, se non per una percentuale minima. Ciò contribuì a ridurre l’eccesso di liquidità in circolazione e a placare così l’inflazione. In effetti, questa scese sotto la doppia cifra a metà del decennio.

Era ancora intorno al 20% all’epoca della lettera.

Tuttavia, non vi fu coerenza con la politica fiscale, che rimase estremamente espansiva. Mentre nel resto d’Europa i governi correvano per risanare i conti pubblici, in Italia i disavanzi primari rimasero tali fino all’inizio degli anni Novanta. E poiché l’indebitamento era alto, ora che Bankitalia non copriva più le emissioni i tassi d’interesse esplodevano. La spesa per interessi arrivò fino all’apice del 12% del PIL nel 1993. Nel frattempo, il rapporto debito/PIL esplodeva da quasi il 58% del 1980 al 124% del 1994.

Debiti a rischio con rialzo dei tassi

Molti commentatori oggi accusano proprio la lettera del 1981 di essere l’origine del collasso fiscale italiano. Invece, la causa va individuata nell’incompletezza di tale gesto. Il Tesoro rinunciava ad essere soccorso, ma non soccorreva sé stesso. I deficit per tutti gli anni Ottanta e fino a quasi la metà del decennio successivo non scesero sotto la doppia cifra. L’incoerenza tra politica monetaria e fiscale fu all’origine della crisi italiana, che perdura a tutt’oggi.

Con la BCE ad alzare i tassi e i governi a continuare a spendere come se fossimo ancora nell’era pre-pandemica, il rischio per l’Area Euro di trasformarsi nell’Italia degli anni Ottanta esiste. Anche perché c’è quasi la convinzione tra i governi che l’aumento dei debiti sia un processo irreversibile. Basti pensare al Regno Unito, travolto nei mesi scorsi da una tempesta finanziaria ai danni di sterlina e Gilt dopo l’annuncio dell’ex governo Truss di un maxi-taglio delle tasse in deficit.

La lezione che stiamo imparando in questa fase è che non puoi indebitarti a cuor leggero mentre le banche centrali aumentano il costo del denaro. Finirai quasi certamente per accusare un aumento della spesa per interessi e un deterioramento della percezione fiscale tra gli investitori.

L’Italia non fu più in grado di risanare i suoi conti pubblici neppure quando i tassi crollarono con l’ingresso nell’euro. E’ uno scenario verosimile per il resto dell’area.

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