Quando alla fine di settembre il cambio euro-dollaro era sceso fino a 0,95, minimo dal 2022, alla Banca Centrale Europea (BCE) si sono presi un bello spavento. Il deprezzamento della moneta unica rischiava di alimentare ulteriormente l’inflazione. Bisognava ristabilire la parità. Da quel momento, la retorica di Francoforte cambia. Le voci delle “colombe” quasi si spengono, quelle dei “falchi” si moltiplicano. Un primo effetto questa strategia comunicativa lo ha ottenuto. Il cambio euro-dollaro è risalito fino a un massimo di 1,07. Potrebbe essere questione di tempo prima che riveda la soglia di 1,10.

Non accade dalla fine del marzo scorso, cioè da circa dieci mesi e mezzo.

Divergenza su tassi si riduce

Venerdì scorso, sono usciti i dati sull’occupazione americana. I posti di lavoro non agricoli creati a dicembre sono stati 223.000. In tutto il 2022, +4,5 milioni. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 3,7% al 3,5%. Allo stesso tempo, gli stipendi sono aumentati dello 0,3% mensile e del 4,6% annuo. A novembre, la crescita era stata rispettivamente dello 0,4% e del 5,1%. Questi numeri hanno sopito i timori di chi paventava la necessità di una stretta sui tassi della Federal Reserve ancora dura nei prossimi mesi. La spirale inflazione-salari-inflazione sembra per il momento scongiurata.

L’economia americana si trova in uno stato di grazia invidiabile: disoccupazione ai minimi, crescita dei salari sotto controllo. Il governatore Jerome Powell non avrà l’assillo di alzare i tassi FED in misura robusta al prossimo board di inizio febbraio. E questo aiuta il cambio euro-dollaro. Stando alle previsioni del mercato, i tassi FED saliranno entro metà anno a un massimo del 5% dal 4,50%. Invece, i tassi BCE arriverebbero entro settembre al 3,75% dal 2,50% attuale. Probabile che a Francoforte opteranno per un incremento ulteriore minore di quello stimato dagli investitori. In ogni caso, il ragionamento che emerge è il seguente: la FED sarebbe al capolinea, la BCE ha ancora un po’ di spazio per alzare i tassi.

Cambio euro-dollaro su, ma non troppo

La divergenza monetaria attesa tra le due principali banche centrali si riduce. Probabile che al prossimo board Powell alzi i tassi FED dello 0,25%. Sarebbe il segnale che il ciclo monetario restrittivo si avvii sostanzialmente alla conclusione. Nell’Eurozona, andrà avanti per qualche altro mese ancora. Ed ecco che la debolezza del cambio euro-dollaro dell’anno passato sarà destinata in gran parte a rientrare. Certo, la scorsa settimana il dato sull’inflazione a dicembre nell’Eurozona ha depresso la moneta unica, scesa fin sotto 1,05 contro il biglietto verde sulle attese di una BCE meno restrittiva. La discesa al 9,2% dal 10,1% di novembre fa intravedere un rialzo dei tassi meno intenso nell’Area Euro di quanto atteso dopo il board di dicembre.

Ad ogni modo, il “mood” per il cambio euro-dollaro resta cautamente positivo. In realtà, c’è lo spettro della recessione economica nell’Eurozona a impedire per il momento che continui ad avanzare. D’altra parte, per quanto i salari americani crescano a ritmi sostenibili, il mercato del lavoro resta in piena occupazione e ciò teoricamente consentirebbe alla FED di spingersi più in là sui tassi senza colpire la prima economia mondiale. La soglia di “allarme” per Powell sarebbe dei 100.000 posti di lavoro mensili creati. Per adesso siamo su livelli più che doppi. E ciò tiene ancora forte il dollaro.

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