La scorsa settimana è stata decisiva per capire i prossimi passi che le grandi banche centrali compiranno per cercare di battere l’inflazione. Ci saranno ulteriori rialzi dei tassi d’interesse, seppure ad un ritmo più lento dei mesi passati. E i bilanci saranno ridotti, vale a dire che i governatori ridurranno l’abbondante liquidità in eccesso accumulata in quasi quindici anni di stamperie monetarie. Questo scenario ha indisposto i mercati finanziari, che dal 2008 vivono in una sorta di bolla incessante.

Dalla Federal Reserve alla Banca del Giappone, passando per Banca Centrale Europea, Banca d’Inghilterra e numerose altre, le banche centrali hanno “stampato” moneta e le banche d’affari, le compagnie assicurative e i fondi d’investimento l’hanno usata per acquistare azioni e obbligazioni, quali che fossero i prezzi.

Dalla bolla finanziaria all’inflazione

La logica della bolla era stata ferrea fino alla fine dello scorso anno: non importa se le quotazioni azionarie esulano dagli utili maturati, né se quelle obbligazionarie si traducono in rendimenti negativi. E’ perfettamente razionale comprare per il semplice motivo che sarò possibile rivendere a prezzi ancora maggiori.

L’incantesimo si è rotto pochi mesi fa, quando l’inflazione è tornata a farci visita dopo un’assenza ormai di diversi decenni. A quel punto, le banche centrali hanno prima ignorato la stessa esistenza del problema, dopodiché l’hanno sottovalutato con la definizione di fenomeno “transitorio”, dopodiché ancora hanno iniziato a reagire timidamente e, infine, hanno dovuto arrendersi alla realtà. Ma sono come quel medico che cura un malanno del paziente molto tardivamente ed è costretto a rimediare con una cura da cavallo, quando la guarigione sarebbe potuta avvenire rapidamente e con qualche sciroppo.

Normalizzazione monetaria fittizia

Le banche centrali stanno compiendo due operazioni parallele: aumentare i tassi d’interesse e ridurre i rispettivi bilanci. Quest’ultima soluzione consiste nel rimettere sul mercato almeno parte dei bond acquistati dal 2008 a seguito dei cicli di “quantitative easing” (QE) adottati contro la crisi finanziaria mondiale.

Un’operazione che si traduce nel non rinnovare più i titoli del debito in scadenza e/o nel rivenderli prima della scadenza.

Il punto è che si tratta di pura fiction. La normalizzazione monetaria è ben lungi dall’essere stata avviata sul serio. Se non ci credete, leggete qualche dato. Da quando iniziò l’allentamento monetario senza precedenti nel 2008, il bilancio della FED è passato da 900 a 8.600 miliardi di dollari. In rapporto al PIL statunitense, vi è stato un boom dal 6% al 36%. Quanto alla BCE, siamo passati da 1.500 a 8.600 miliardi di euro. In questo caso, dal 16% al 68% del PIL dell’Area Euro. E chiudendo con la Banca d’Inghilterra, il bilancio si è dilatato da 100 a 1.090 miliardi di sterline, ovvero dal 5% al 47% del PIL britannico.

Cosa ci suggeriscono questi numeri? Se le sole tre principali banche centrali del pianeta (escludiamo la Banca del Giappone, ancora intenta ad aumentare il proprio bilancio) decidessero di tornare ai livelli dei bilanci pre-crisi in rapporto al PIL, dovrebbero tagliare complessivamente di 15.500 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra corrispondente al 15% del PIL mondiale e della capitalizzazione delle borse mondiali, nonché pari a un terzo del valore attuale di Wall Street.

Banche centrali a corto di munizioni

Cosa significa tutto questo? Le banche centrali fingono di stare normalizzando la politica monetaria, ma questo richiederebbe un drenaggio di liquidità tale da mandare all’inferno i mercati finanziari e l’economia mondiale in depressione. Durante gli anni del QE, ad esempio, l’indice S&P 500 è aumentato di 3,6 volte, mettendo a segno guadagni annuali del 10%. Tornando al pre-Lehman, quando il mondo viveva in una parvenza di normalità e concetti come “tasso negativo” erano noti solo in teoria ed esclusivamente agli studenti di economia, non sembra possibile nel breve e nel medio periodo.

Le banche centrali potranno limitarsi semplicemente a porre fine alla dilatazione dei propri bilanci, sperando che tra un po’ di crescita e il ritorno dell’inflazione il peso degli asset si ridurrà in termini reali e in rapporto al PIL. Stanno inasprendo la loro retorica da “falco” nel disperato tentativo di contenere l’inflazione convincendo i mercati che sarà fatto di tutto per centrare l’obiettivo. Se non riuscissero nell’impresa, s’inventeranno concetti nuovi per giustificare l’ingiustificabile. Target come l’inflazione al 2% non sono stati scolpiti sulla roccia. Ricordate che se Maometto non va alla montagna, è la montagna ad andare da Maometto.

[email protected]