Mancano le limature, ma nella manovra di bilancio che il Governo Meloni varerà oggi dovrebbe esserci quasi certamente una piccola riforma delle pensioni. L’esecutivo avrebbe trovato un accordo al suo interno per Quota 103, che la Lega non vuole neppure sentire chiamare così, trattandosi a suo dire di Quota 41. In più ci sarà un ennesimo anno di proroga per Opzione Donna e Ape Sociale. Nel corso del 2023, ragionano al Ministero del Lavoro, dovrà esservi una riforma organica, così da superare definitivamente la legge Fornero e chiudere con le misure eccezionali e temporanee.

Cosa significa Quota 103? I lavoratori nati dal 1961 in poi potranno andare in pensione con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Di fatto, una versione depotenziata di Quota 41. La Lega di Matteo Salvini chiedeva, infatti, che i lavoratori potessero andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età. Ma la misura sarebbe costata troppo: 4 miliardi di euro. Pertanto, a fianco al requisito contributivo è stato fissato anche quello anagrafico. Il costo si abbasserebbe di molto. Considerando anche le altre due misure, per il primo anno scenderebbe a 1 miliardo di euro.

Secondo il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, con Quota 103 o 41 “light” che dir si voglia, potranno andare in pensione nel 2023 48.000 lavoratori. Rispetto ai 16.000 di quest’anno con Quota 102, spiega, si tratta di un’ampia estensione della platea dei potenziali beneficiari. Quanto a Opzione Donna, i numeri ci dicono che nei primi 9 mesi dell’anno abbiano fatto richiesta 18.000 lavoratrici. Ad occhio e croce, parliamo di non più di 25.000 prepensionamenti.

Quota 103 e poi riforma pensioni organica

Opzione Donna consente alle donne di andare in pensione con soli 58-59 anni di età e 35 anni di contributi. In cambio, il calcolo dell’assegno avviene interamente con il metodo contributivo. La penalizzazione media è stimata nell’ordine del 20-25%. Questo spiega lo scarso appeal della misura.

Ape Sociale, poi, consente a disoccupati, invalidi civili e a chi svolge lavori gravosi di anticipare la pensione a 63 anni di età e 30-36 anni di contributi. Insomma, confermato il menù di questi anni, ritoccato solamente con l’introduzione di Quota 103. Viene da chiedersi se ve ne fosse realmente bisogno. Il costo complessivo è esiguo, ma in una fase in cui il governo è costretto a controllare se ha in portafoglio qualche monetina per far quadrare i conti pubblici, davvero avremmo avuto forse altre priorità da finanziare.

Certo, rispetto all’ipotesi di Quota 41 abbiamo compiuto notevoli passi in avanti. L’idea che già persino sotto i 60 anni si potesse andare in pensione senza penalizzazione rischiava di creare contraccolpi all’INPS. D’altra parte è pur vero che non si possa più andare avanti a correzioni annuali. I lavoratori non sanno quando potranno andare in pensione e l’incertezza rende ancora meno appetibile la permanenza al lavoro. Chi può, sfrutta la prima finestra di opportunità per prendersi l’assegno. L’alternativa sarebbe spesso restare a lavorare per chissà quanti altri anni ancora. Un sistema della previdenza iniquo, generoso con una cerchia ristretta di soliti noti, inefficiente e insostenibile.

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