Niente cassa integrazione per i lavoratori dello stabilimento Melegatti di San Giovanni Lupatoto. Grazie alla massiccia campagna di solidarietà, la società nata nel 1894 ha venduto tutti gli 1,575 milioni di Pandoro e Panettone, come da accordo con il Tribunale, producendone altri 5.000 da vendere nello spaccio aziendale nei prossimi giorni, così da rimediare al problema dell’arrivo altrimenti dopo Natale, e a prezzi inferiori, sugli scaffali dei supermercati. La salvezza non è scontata, perché adesso serve che vada bene anche la campagna pasquale e che banche e fornitori facciano la loro parte nella ristrutturazione di 30 milioni di debito.

Sarebbe ingiusto per la concorrenza, tuttavia, concentrarci solo sullo storico marchio veronese. Quello dei dolci di Natale italiani, infatti, è un business da centinaia di milioni di euro e che sta diventando sempre più interessante all’estero. (Leggi anche: Melegatti, corsa al Pandoro non basta: cosa c’è dietro alla solidarietà?)

Lo scorso anno, ne abbiamo esportati per 381 milioni di euro, in crescita su base annua dell’1,5%. Un boom si è registrato in Spagna (+19%), dove avrà pesato positivamente la forte ripresa economica in atto da qualche anno, ma il nostro primo mercato di sbocco resta la Francia con 83,1 milioni, seguita dalla Germania con 73,8 milioni. Da sole, quindi, rappresentano quasi la metà delle nostre esportazioni di dolci natalizi. Questi incidono per quasi l’1% dell’export alimentare tricolore, che si aggira sui 40 miliardi all’anno.

Prodotti sotto-marca spesso uguali a brand noti

Sempre lo scorso anno, nelle due settimane clou delle feste di Natale, Coldiretti ha stimato che avremmo speso 100 milioni di euro tra pandori e panettoni, mentre solo per imbandire la tavola a Natale e Capodanno, Confcooperative ha parlato di 4,6 miliardi di euro spesi, circa la metà del budget totale da 9,8 miliardi destinato dagli italiani complessivamente per il periodo festivo tra cibo, addobbi, viaggi, regali e altro (Codacons). E in tutto il mese di dicembre 2016, stando a Confartigianato, i prodotti artigianali avrebbero fatturato 5,6 miliardi, più di un terzo della spesa alimentare totale nel mese.

Come si capisce, le oltre 43.300 aziende italiane attive nella pasticceria hanno nel Natale un loro periodo di apice nelle vendite, per cui è essenziale che esso vada bene per salvare probabilmente il destino dell’intera annata commerciale. E spesso, tra volontà di spendere qualcosina in meno e di comprare il più possibile prodotti locali, a molti di noi viene in mente di acquistare un pandoro o un panettone non di marca. La principale remora consiste nel fare brutta figura. Una cosa è regalare un prodotto dal brand immediatamente riconoscibile, un’altra è presentarsi con un marchio sconosciuto, che non automaticamente significa, tuttavia, che sia meno genuino o meno buono.

Dobbiamo sapere, anzitutto, che le stesse aziende che sfornano pandori e panettoni di marca spesso si dedicano alla produzione di sotto-marche, vendute a prezzi più bassi, ma che presentano esattamente le stesse caratteristiche dei prodotti più famosi. Com’è possibile? Come per ogni tipologia di prodotto, esistono i vari segmenti di mercato: quello più “ricco”, uno medio e quello più “povero”. Non è detto che la stessa azienda si concentri su un solo segmento, perché potrebbe puntare a soddisfare tutto il vaglio dei consumatori. Tuttavia, per evitare di “sporcare” il suo marchio vendendo prodotti a prezzi più bassi, preferisce utilizzare una marca diversa e persino un “packaging” che non richiami quello più famoso o di élite. (Leggi anche: Natale 2017: quanto costano Pandoro e Panettoni, marche a confronto)

Come destreggiarsi tra i marchi

Come fare a capire se stiamo comprando un pandoro che sia sostanzialmente il gemello povero di un altro più rinomato? Per prima cosa – può sembrare banale, ma è così – leggere quale sia lo stabilimento di produzione e confrontarlo con quello del prodotto sul quale nutriamo dubbi.

Secondariamente, diamo un’occhiata agli ingredienti e verifichiamo che l’ordine decrescente con cui vengono elencati sia uguale. Infine, leggiamo la tabella nutrizionale. Se le tre cose coincidono, siamo di fronte allo stesso prodotto, ma venduto con marchi differenti. A voi la scelta se approfittare di tale scoperta per acquistarne uno a prezzi ridotti. Chi lo ricevesse in regalo magari non percepirebbe tale identità del produttore, per cui non è detto che apprezzi, ritenendo che abbiate solamente voluto risparmiare. Il ché, in un certo senso, è anche vero.

Quanto alla qualità del prodotto, sappiate che le denominazioni “panettone” e “pandoro” sono tutelate, ovvero non possono essere utilizzate a casaccio da un’azienda produttrice, dovendo seguire un determinato protocollo sull’utilizzo degli ingredienti e per le dosi, come da decreto 22 luglio 2005. Esso prevede, ad esempio, che il panettone sia prodotto con farina di frumento; zucchero; tuorlo di uova di gallina o tuorlo d’uovo o entrambi, ma tali da garantire almeno il 4% del tuorlo; burro per non meno del 16%; uvetta e canditi, etc. Per il pandoro, invece, sono obbligatori, oltre ai suddetti ingredienti previsti per il panettone (burro minimo 20%), anche lievito naturale da pasta acida, aroma di vaniglia e sale. Previsti anche ingredienti facoltativi, ovvero il cui uso è lasciato a discrezione del produttore. Chiunque non rispettasse tali previsioni non potrebbe utilizzare le denominazioni “panettone” e “pandoro”, bensì “dolce di Natale”. Pertanto, bisogna andare oltre alla forma e leggere bene sia cosa vi sia scritto sulla confezione, sia se gli ingredienti e la tabella nutrizionale, oltre che lo stabilimento, non siano gli stessi di un pandoro o di un panettone di marca. L’importante resta comprare un prodotto di qualità.