Non ci sarà alcun aumento dell’offerta di petrolio. I ventitré paesi del cosiddetto OPEC+ hanno deciso domenica che lasceranno immutati i livelli di produzione. Ad ottobre, questa era stata tagliata di 2 milioni di barili al giorno fino alla fine del 2023. E nelle scorse settimane si era speculato sull’aumento della produzione di mezzo milione di barili al giorno a partire da gennaio. Così non è stato. Il cartello, guidato di fatto dall’Arabia Saudita e d’intesa con la Russia, ha preso atto dei cali recenti delle quotazioni e delle prospettive fosche dell’economia mondiale.

In pratica, ha lasciato intendere che ci penserà eventualmente il mercato a correggere eventuali eccessi nei prezzi. Non ci sarebbero le condizioni per tagliare l’offerta.

La Casa Bianca aveva accusato i sauditi ad ottobre di prendere le parti dei russi nella guerra ucraina con una politica del petrolio tesa ad aumentare le quotazioni. In questo modo, è il ragionamento, Mosca incassa molto di più di quanto avrebbe potuto senza il rialzo di questi mesi. E oggi è scattato formalmente l’embargo europeo contro il petrolio russo. Nell’Unione Europea non potrà essere acquistato a un prezzo superiore ai 60 dollari al barile. Sopra tale soglia, non saranno consentiti erogazioni di servizi come assicurazione e trasporto marittimo.

Per tutta risposta Mosca ha fatto sapere all’Europa di “vivere senza il petrolio russo”. I russi non venderanno greggio ai paesi che sostengono l’embargo. Resta da vedere se la minaccia sia solo verbale o se seguiranno i fatti. Gli analisti calcolano in 1-1,5 milioni di barili al giorno l’eventuale minore offerta nel caso in cui la Russia non accettasse le condizioni dell’embargo.

Petrolio spia di tensioni USA-Arabia Saudita

Il mix tra decisione OPEC ed embargo europeo appare negativo per il mercato mondiale. Ed è probabile che russi e sauditi abbiano voluto giocare di sponda reciproca, testando la resistenza del mercato occidentale.

Nella mattinata odierna, le quotazioni del Brent risalivano dell’1,40% a 86,76 dollari. A giugno, avevano raggiunto i 120 dollari. Il contestuale apprezzamento del cambio euro-dollaro sta alleviando il costo a carico dei consumatori dell’Eurozona nelle ultime settimane.

La recente visita del presidente Joe Biden a Riad aveva fatto sperare nell’avvio di un nuovo corso nelle relazioni tra Arabia Saudita e USA. Non è un mistero che il taglio dell’offerta di petrolio da parte dell’OPEC+ sia stata una ritorsione del principe Mohammed bin Salman contro la Casa Bianca per i toni sprezzanti usati nei suoi confronti a seguito dell’omicidio di Jamal Khashoggi. Al di là delle tensioni geopolitiche, il Golfo Persico non intende rinunciare alle elevate entrate derivanti dalle esportazioni petrolifere grazie ai prezzi alti di questa fase.

Nel tentativo di frenare la corsa dei prezzi, l’amministrazione Biden ha ridotto le riserve strategiche di petrolio di 180 milioni di barili. Resta sullo sfondo, ma ad oggi esclusivamente come pura suggestione, la cosiddetta “NOPEC bill“. Si tratta dell’ipotesi, più volte nel corso degli ultimi venti anni presa in considerazione dal Congresso, di considerare legalmente l’OPEC come un cartello monopolistico. Sia il presidente George W.Bush che Barack Obama hanno in passato bocciato l’adozione di una simile legge, che equivarrebbe a un boicottaggio del petrolio venduto dall’OPEC, con tutto quello che si scatenerebbe sul mercato mondiale.

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