E’ il secondo board dell’anno per la Federal Reserve e quello su cui si concentrano le maggiori attese da anni a questa parte. Quasi certamente, il governatore Jerome Powell annuncerà stasera il primo rialzo dei tassi d’interesse negli USA da tre anni e mezzo a questa parte. Già prima della pandemia, infatti, l’istituto aveva cambiato rotta e su pressione della Casa Bianca – c’era Donald Trump alla presidenza – aveva abbassato nuovamente il costo del denaro.

I tassi FED dovrebbero salire di 25 punti base o 0,25%.

Da settimane, tuttavia, si specula che la stretta monetaria possa essere avviata più duramente, anche perché l’inflazione negli USA a febbraio è salita al 7,9%, mai così alta dal gennaio 1982, quando presidente era ancora Ronald Reagan e l’Unione Sovietica sembrava lontana dalla dissoluzione con Lionid Breznev a capo. Pertanto, non possiamo escludere un rialzo dello 0,50%, sebbene il mercato non lo stia scontando.

Le previsioni sono, infatti, per un rialzo cumulato di 175 punti base entro l’anno, cioè di 7 rialzi da 0,25% ciascuno. A dicembre, quindi, il costo del denaro sarebbe portato all’1,75-2%. Il governatore Jerome Powell sta cercando di soppesare i rischi di una stretta “eccessiva”. Da un lato, l’inflazione è salita a livelli molto alti, dall’altro tra catene di produzione ancora interrotte e impatto della guerra ucraina sull’economia mondiale, l’America stessa rischia di rallentare. Goldman Sachs ha alzato al 20-35% le probabilità di una recessione del PIL USA nel 2023.

Tassi FED e fine del QE

Peraltro, il rialzo dei tassi FED avverrà nelle stesse ore in cui in Russia scatta il conto alla rovescia per il default. Il governo di Mosca deve pagare oggi due cedole su altrettanti bond in dollari, ma lo farà in yuan e, in seconda battuta, in rubli. Il “congelamento” delle sue riserve valutarie da parte dell’Occidente gli impedisce di onorare i creditori esteri altrimenti, ma ciò farebbe scattare il default tra un mese, decorso il periodo di grazia.

Date le basse esposizioni dell’estero verso la Russia, l’avvenimento non dovrebbe avere un impatto significativo sul resto del mondo. Ad ogni modo, trattasi di un ennesimo fattore di incertezza per le banche centrali.

Poiché la FED cessa anche gli acquisti dei bond, il board sarebbe propenso a non forzare la mano oggi con un rialzo dei tassi nell’ordine di mezzo punto percentuale. Potrà sempre eccepire che la fine del “quantitative easing” in sé equivalga a un aumento del costo del denaro. Powell dovrà mostrarsi, però, convincente circa la sua capacità di mantenere la stabilità dei prezzi nel medio termine. Deve evitare il disancoramento delle aspettative d’inflazione del mercato. Il suo istituto nei fatti farà da precursore alla BCE, chiamata a seguirne i passi nei prossimi mesi.

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