Sarà in taglio da 1, 2, 5, 10, 50, 100 e 200 la nuova moneta lanciata dalla Reserve Bank of Zimbabwe lo scorso 5 aprile e a disposizione solamente dalla fine del mese. Ci saranno anche monete da 50 e 25 centesimi. Si chiama già ZiG o Zimbabwe Gold ed è l’ennesimo esperimento monetario in un’economia allo sbando più totale da molti anni. Il nome svela la sua filosofia di fondo: le emissioni di banconote avverranno nei limiti delle disponibilità di oro tra le riserve. Peccato che in aprile si stimi che lo stato dell’Africa meridionale disponga di appena 350 kg di metallo giallo.

Agli attuali prezzi di mercato, varrebbe in tutto sui 25 milioni di dollari Usa.

Nuova moneta contro instabilità dei prezzi

Il giorno del lancio il governatore John Mushayavanhu si era mostrato rassicurante circa la stabilità della nuova moneta. Un messaggio teso a infondere fiducia contro l’alta inflazione che affligge l’economia. A marzo, è salita al 55,3%. Nulla rispetto alle percentuali incalcolabili a cui arrivò nel 2008. Il tasso di cambio tra dollaro Usa e ZiG è stato ufficialmente fissato a 13,56. Ma dai cambiavalute già si attesta intorno a 20. In pratica, la nuova moneta ha perso un terzo del suo valore prima ancora di entrare formalmente in vigore.

Dall’esproprio delle terre ai bianchi all’iperinflazione

Per capire la ragione per la quale neppure l’aggancio all’oro stia servendo per rassicurare i cittadini, bisogna andare indietro nel tempo di qualche decennio. Siamo alla fine degli anni Novanta e l’allora presidente Robert Mugabe, in carica dal 1980 al 2017, dispone l’esproprio delle terre possedute dalla minoranza bianca quale risarcimento per i danni provocati dall’era coloniale. L’attuazione avverrà agli inizi del nuovo millennio. Migliaia di appezzamenti furono sottratti ai legittimi proprietari per essere redistribuiti alla maggioranza nera.

I nuovi proprietari non possedevano né le conoscenze per gestire le aziende agricole, né i capitali per investire.

I raccolti crollarono e i prezzi dei generi alimentari, e con il tempo un po’ di tutti i beni e servizi, esplosero. A ciò si aggiunse la cattiva gestione complessiva dell’economia nell’ex Rhodesia, che tenne alla larga gli investimenti esteri (sgraditi) al regime e che provocò la fuga dei capitali. Siamo nel 2008 ed esplode l’iperinflazione nello Zimbabwe. I prezzi al consumo s’impennano di ora in ora, tanto che la Reserve Bank arriverà a stampare banconote di 10 mila miliardi di dollari locali.

Sgradito ritorno alla sovranità monetaria

A seguito di tal disastro, i cittadini tornarono al baratto e iniziarono a commerciare tra loro in altre valute: perlopiù in dollari Usa, euro, sterline inglesi, yen, rupie e rand sudafricani. La banca centrale rinunciò a stampare una nuova moneta sovrana, consapevole che non avrebbe avuto la fiducia dei cittadini. L’inflazione rientrò e questa situazione di relativa tranquillità durò fino al 2016, anno in cui l’ormai anziano dittatore reintrodusse una moneta locale, definita “bond notes”. Il cambio venne fissato a 1:1 contro il dollaro Usa, ma subito dopo l’emissione precipitò di un terzo. Sarebbe diventata carta straccia ai giorni nostri. Non a caso, è dalla fine del 2018 che è tornata l’instabilità dei prezzi.

Dal novembre del 2017 è in carica il presidente Emmerson Mnangagwa, responsabile di un colpo di stato e formalmente eletto con libere elezioni. In questi anni, il nuovo regime si è inventato il dollaro dello Zimbabwe Real Time Gross Settlement (RTGS), una moneta elettronica per effettuare i pagamenti. Anch’essa senza più alcun valore. E’ a questo punto che, nel disperato tentativo di ripristinare la fiducia generale, s’inventa il dollaro locale agganciato all’oro e alle riserve valutarie disponibili. Il problema è duplice: di oro ce n’è poco nelle riserve della banca centrale.

Già questo argomento basterebbe a giustificare lo scetticismo. Inoltre, nessuno si fida di banca centrale e governo. Chi può garantire che, su pressioni del secondo, la prima non stampi più banconote di quanto dovrebbe?

Nuova moneta senza fiducia

Per le strade di Harare il termine che si sente pronunciare tra le bancarelle dei mercati e gli scaffali dei negozi è “accountability”, cioè “responsabilità”. Se non c’è o è insufficiente, nessuno può avere mai fiducia nella nuova moneta. E di fatto non è bastato dare una verniciata d’oro alle nuove banconote per renderle gradite a chi dovrebbe usarle per farci la spesa. Già il semplice fatto che da giorni le persone comuni non riescano a utilizzare le vecchie banconote per effettuare i pagamenti, la dice lunga sull’incompetenze che regna nel Paese. Ufficialmente, nessuno può rifiutarle fino al 30 aprile, ma già dal 5 aprile persino le società statali accettano solo dollari Usa. Altro che nuova moneta, qua si guarda con speranza solo ai biglietti verdi del vecchio, stabile, ricco e rassicurante zio Sam.

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