Rimbalzo per le azioni Credit Suisse nella seduta di ieri dopo il crollo verticale accusato mercoledì a -31%. La banca d’affari ha accettato l’offerta della Banca Nazionale Svizzera per ottenere 50 miliardi di franchi (51 miliardi di euro) di liquidità. E subito si è messa al lavoro per cercare di impiegare al meglio questo denaro fresco. Ha lanciato un’offerta per il riacquisto di una decina di bond in dollari per un controvalore massimo di 2,5 miliardi, mentre altri 500 milioni di euro riguardano bond denominati nella moneta unica.

L’offerta scade il prossimo 22 marzo. Gli importi di cui sopra sono al netto degli interessi maturati dagli investitori aderenti.

“Too big to fail”

Credit Suisse non è una banca come le altre. Ha natura sistemica, cioè è considerata “troppo grande per fallire”, e per questo rientra nella cosiddetta lista SIFI stilata periodicamente dal Comitato di Basilea, per cui è sottoposta a requisiti patrimoniali più stringenti. E’ ancora molto presto per capire se davvero possa considerarsi “salvata” dalle autorità elvetiche. Basteranno 50 miliardi di franchi per far passare la paura ai mercati? I numeri di Credit Suisse impongono prudenza. Alla fine del 2022, la banca svizzera possedeva debiti per 486 miliardi di franchi, di cui 399 in qualità di depositi dei clienti e 157 miliardi di debiti a lungo termine. E tenete conto che entro la fine del 2024 l’istituto dovrà rimborsare obbligazioni per 41,8 miliardi di euro.

Certo, le attività sono altrettanto elevate: 531 miliardi, di cui 288 sono prestiti netti alla clientela. Resta il fatto che nel 2022 le perdite riportate sono state pari a 7,3 miliardi. C’è un altro dato ad attirare le attenzioni di investitori, analisti e governi. Credit Suisse detiene esposizioni in derivati OTC (fuori dai mercati regolamentati) per 14.500 miliardi di franchi. In pratica, circa lo stesso valore del PIL europeo. Ma parliamo di valore nozionale, che poco in sé vuol dire.

Le esposizioni effettive dovrebbero ammontare a una percentuale bassissima di tale ammontare. Nel 2008, quando Lehman Brothers crollò sotto il peso dei mutui subprime, possedeva derivati OTC per 35.000 miliardi di dollari. Pur dovendo essere letti in maniera molto meno semplicistica di quanto si faccia, questi numeri segnalano un rischio di controparte a cui prestare attenzione.

Legami tra Credit Suisse e altre banche europee

Malgrado queste cifre, Credit Suisse in borsa è arrivata a capitalizzare lo scorso mercoledì meno di 7 miliardi. Ieri, balzava sopra gli 8 miliardi. In ogni caso, poca roba per una banca sistemica con debiti pari al 60% del PIL svizzero. E’ molto probabile che le autorità elvetiche puntino a smembrarne le attività, perché va da sé che non esisterebbe oggi nessuno intenzionato ad accollarsi la banca nella sua interezza. La rivale UBS sarebbe interessata alle sole attività in patria. Restano le attività finanziarie internazionali, sulle cui condizioni reali dovrà farsi un’opera di trasparenza per avere maggiori chance di vendita. E la nota di martedì, secondo cui la banca riconosceva “carenze materiali” nelle attività di controllo per gli esercizi 2021 e 2022 non è certo di aiuto in tal senso.

C’è poi da capire quali banche siano esposte verso Credit Suisse, in quale misura e in quali termini. Ad esempio, quanti dei suoi CoCo Bond emessi negli anni sono finiti nei bilanci di altri istituti? E ci sono stati prestiti diretti? Tutte domande alle quali saranno offerte (forse) risposte nelle prossime settimane. Ma la più importante sembra un’altra: abbiamo altre Credit Suisse in Europa? Non abbiamo dimenticato le convulsioni di Deutsche Bank di questi ultimi anni.

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