C’è un vecchio detto in Corea del Nord, secondo il quale “la carne di cane è una buona medicina nei giorni di cane”. E questi giorni sono arrivati, tant’è che da qualche settimana nello stato eremita si è scatenata una vera caccia del governo ai cani. Vengono sottratti ai proprietari per essere o portati negli zoo pubblici o, soprattutto, nei ristoranti per essere cucinati. La propaganda dello stato già sta facendo la sua parte, parlando di “vitamine superiori a quelle di manzo, pollo e maiale”.

E Kim Jong-Un in persona ha definito la crescente abitudine tra le famiglie più agiate di tenere i cani una forma di “decadenza borghese” tipica dell’Occidente.

Con la caccia ai cani, il Caro Leader punta a prendere due piccioni con una fava: dare soddisfazione a quell’ampia fascia di nordcoreani che vedono di cattivo occhio il fatto che una minoranza possa permettersi di tenere un animale di compagnia, quando per tradizione e necessità gli animali che si allevano sono quelli che poi finiscono a tavola, tra cui i maiali; al contempo, si cerca di ridurre la carenza di cibo, dato che mangiare i cani nella tradizione nordcoreana è diffuso.

Addirittura, Kim Jong-Un ha anche invitato i proprietari a “ammazzare di botte” i cani per migliorarne il sapore. Un orrore, che si spiega con la grave crisi che il paese sta attraversando in questi mesi. Chiuse le frontiere a inizio anno anche con la Cina come misura anti-Covid, quel già pochissimo di import-export esistente è svanito del tutto. In più, Pyongyang è sotto embargo internazionale e di recente è stata colpita da piogge torrenziali, con migliaia di persone che hanno perso la casa e colture devastate.

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Malnutrizione diffusa

Intendiamoci, la stessa tradizione culinaria nella Corea del Sud contempla il mangiare i cani.

Ancora oggi, nonostante stia cadendo in disuso, si stima che un milione dei mammiferi venga allevato nelle fattorie per essere macellato. Ma di certo non esiste alcuna caccia al cane come nel nord, dove il Caro Leader si è trovato costretto a convocare la sesta riunione plenaria del Partito dei Lavoratori, aperta mercoledì scorso, per parlare di “temi cruciali”. Per l’occasione, non ha nascosto ai vertici del partito la delusione per il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati dal governo, per lo stato “fallimentare” in cui versa l’economia nordcoreana. Poche settimane fa, era stato licenziato il premier dopo appena un anno dalla nomina.

Di recente, un report delle Nazioni Unite ha stimato che il 60% dei 25,5 milioni di abitanti dello stato siano vittime di “carenza diffusa di generi alimentari”. Il 40% della popolazione vivrebbe in condizioni di malnutrizione. La situazione è così grave, che sarebbero scoppiate alcune proteste in queste ultime settimane. E parliamo di un paese, in cui anche solo un cenno di dissenso verso il regime può costare la vita. Nel mirino di Kim sta finendo la classe più agiata, a cui negli ultimi anni era stata concessa maggiore libertà, tra l’altro anche di aprire attività commerciali nella capitale e di contrabbandare merce con l’estero. Tolleranza quasi azzerata con il Covid.

Proprio per le estreme condizioni in cui versa il paese, si teme che il dittatore possa sfogare le tensioni verso l’esterno, prendendo a pretesto lo stallo nel dialogo avviato due anni fa con l’amministrazione Trump, che non ha portato ad oggi ad alcun miglioramento pratico sul piano economico, dato che le sanzioni ONU non sono state nemmeno ammorbidite. Del resto, gli USA hanno chiarito che prima vogliono verificare la denuclearizzazione in corso promessa dal regime. Per il momento, sembra che i cani resteranno a lungo sui menu dei locali.

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