Scoop de Il Messaggero, che è entrato in possesso di una bozza della direttiva comunitaria sugli edifici, in uscita il prossimo 14 dicembre. In base ad essa, risulta che le case con bassa classe energetica non potranno più in futuro essere vendute o affittate. L’obiettivo consiste nel tendere alle emissioni zero degli immobili entro il 2050. Per raggiungerlo, ecco la tabella di marcia studiata: al più tardi nel 2027 (2030 per i condomini) gli stati dovranno introdurre limitazioni alla vendita o all’affitto di case, escludendo quelle di classe energetica inferiore ad E.

Dal 2030, la classe energetica minima sarà la D e dal 2033 sarà la C.

Ci sarà un solo modo per sfuggire al divieto: l’acquirente dovrà impegnarsi a raggiungere la classe energetica minima entro tre anni dalla data di stipula del contratto. Lo stesso dicasi per il proprietario nel caso di locazione dell’immobile.

Evidente l’impatto che la direttiva avrebbe, se applicata, sul mercato immobiliare italiano, tant’è che Confedilizia ha già mostrato la sua netta contrarietà. Gran parte delle case nel nostro Paese hanno classe energetica bassissima, persino la G, ultimo gradino della scala prevista. Il divieto di compravendita e di locazione colpirebbe i prezzi, peraltro già in profondo calo nell’ultimo quindicennio. Né sarebbe facile adeguarsi ai nuovi standard europei, dati gli alti costi per l’efficientamento energetico. Il mercato sarebbe sempre più scisso tra una minoranza di abitazioni con prezzi sempre più alti e una maggioranza praticamente senza alcun valore. A rimetterci sarebbero chiaramente le fasce della popolazione socialmente più deboli: prendere in affitto casa avrebbe costi ancora più proibitivi, data la scarsa offerta. E anche nel caso teorico in cui tutti i proprietari si adeguassero, scaricherebbero i maggiori costi sostenuti sugli inquilini.

La stangata della classe energetica

Secondo i dati della stessa Unione Europea, gli immobili nei 27 stati del continente inciderebbero per il 40% dei consumi energetici annuali e per il 36% delle emissioni.

Il 35% risulta essere stato costruito da oltre mezzo secolo e quasi il 75% sarebbe inefficiente sul piano energetico. Solamente l’1% dello stock sarebbe annualmente oggetto di ristrutturazione. Se tutto lo stock fosse ristrutturato, i consumi di energia nella UE diminuirebbero del 5-6%, le emissioni del 5%.

L’agenda green rischia di colpire le tasche delle famiglie molto di più di quanto stia avvenendo già con i numerosi rincari delle bollette legati spesso alle restrizioni ambientali imposte. Di più: corriamo il serio rischio di un mercato immobiliare nelle mani di pochi soggetti, perlopiù di natura finanziaria, con a disposizione grossi capitali necessari per efficientare le abitazioni e adeguarsi agli standard europei. Una germanizzazione del tutto da evitare, date le evidenti distorsioni che quel sistema sta provocando in patria, dove poche società arrivano a controllare la gran parte delle abitazioni in una data città, finendo per concordarne i prezzi dei canoni di locazione.

A fronte di questi costi prospettici, il governo Draghi ha già posto un termine al Superbonus 110% e ha ridotto le detrazioni ammesse per gli altri bonus edilizi. Il tutto, mentre dalla stessa Bruxelles arriva l’invito all’Italia di gravare la tassazione sugli immobili, già tra le più alte al mondo. Un accanimento contro la casa, che rimane la migliore garanzia per la stabilità socio-economica delle famiglie italiane tra lavoro precario, bassi redditi e crisi ormai frequenti.

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