Il Parlamento italiano si appresta a licenziare la manovra di bilancio per il 2024. L’approvazione sta avvenendo in un clima relativamente sereno sui mercati finanziari. La discesa dei tassi di interesse attesa per i prossimi mesi ha ristretto lo spread sotto 160 punti base e il rendimento decennale è crollato dal 5% di due mesi fa a meno del 3,55%. La stessa Legge di Bilancio è stata redatta all’insegna della prudenza fiscale, un fatto apprezzato dagli investitori. Ciò non toglie che esiste una criticità sopra tutte: l’assenza di liberalizzazioni.

Crescita economia italiana ferma da 30 anni

L’economia italiana è l’unica grande economia mondiale a non avere ancora recuperato i livelli di PIL reale del 2007. E’ cresciuta meno di tutti i partner dalla nascita dell’euro nel 1999. Gli stipendi sono fermi da oltre trenta anni, un fatto che ha dell’incredibile se letto nelle classifiche internazionali. Insomma, non facciamo passi avanti da diversi decenni. Colpa dell’euro? Se così fosse, non si spiegherebbe la crescita di altre economie come Spagna, Portogallo e persino Grecia fino al 2007.

Il governo di Giorgia Meloni ha varato un piano di privatizzazioni da 20 miliardi di euro, con l’intento di racimolare risorse con cui tenere a galla il bilancio statale. Ha confermato il taglio del cuneo fiscale e ridotto la seconda aliquota Irpef di due punti percentuali per un costo complessivo di 14 miliardi di euro. D’altra parte ha tenuto a bada le pressioni degli alleati sulle pensioni, disincentivando il ricorso all’assegno anticipato. Tutti provvedimenti positivi per la stabilità dei conti pubblici e la crescita dell’economia italiana.

Da liberalizzazioni costo “politico”

Tuttavia, le liberalizzazioni non ci sono. E il Wall Street Journal nota come taxi e concessioni balneari siano la rappresentazione della sclerosi del Bel Paese. Ci sono categorie che pretendono di restare al riparo dalla concorrenza.

Impongono prezzi esorbitanti ai clienti e impediscono l’ingresso di nuovi imprenditori sul mercato. Roma ingaggia da anni una battaglia campale con Bruxelles sulla direttiva Bolkestein, al fine di evitare che le concessioni per gli stabilimenti balneari periodicamente vadano a gara.

Per l’Italia è normale che un’impresa pretenda che altri non entrino nel “suo” mercato. Questa assenza di concorrenza riduce l’apporto di capitali freschi, tiene bassa la qualità dei servizi offerti e alti i prezzi, mentre disincentiva agli investimenti. In definitiva, l’assenza di liberalizzazioni tiene la crescita economica al guinzaglio. Si dice spesso che si tratti di misure a costo zero. Vero, se il riferimento è al bilancio dello stato. Non è così dal punto di vista di chi subisce la concorrenza e guardando loro al costo “politico”.

Le liberalizzazioni creano scompiglio, malcontento tra chi perde un privilegio acquisito. La politica italiana non ha mai avuto sufficiente lungimiranza da rischiare di perdere nel breve termine consenso per favorire la crescita del PIL nel medio-lungo termine. Complice la breve durata cronica dei governi italiani, nessuno guarda oltre il proprio naso e se la sente di sfidare le categorie interessate. Come ci hanno insegnato le cattive privatizzazioni degli anni Novanta, però, quando un’impresa opera in regime di monopolio o di scarsa concorrenza, a patirne le conseguenze è l’intero sistema Paese.

Intero sistema vittima di ottusità

Non esistono, ovviamente, solo tassisti e balneari nella lista delle attività sulle quali attuare un processo di liberalizzazione. Si pensi a farmacisti e notai fino a salire in alto. E la concorrenza va resa effettiva, non restare sulla carta. La sensazione è che non sia sempre così. Si pensi al sistema bancario, che spesso dà spunti a chi ritiene che faccia cartello per tenere ai minimi termini i tassi passivi e spingere su quelli attivi. Per non parlare delle commissioni e dei tentativi per frenare il passaggio dei clienti da un istituto all’altro.

E che dire delle assicurazioni?

La buona notizia è che le liberalizzazioni non dovranno attendere la prossima legge di Bilancio per vedere la luce. Ogni giorno è buono. La cattiva è che dal mondo politico non sembra arrivare il segnale che questo argomento sia di rilevante interesse. Siamo un Paese così ottuso, ad esempio, da non rinunciare al numero chiuso per accedere alle facoltà di medicina, nonostante manchino drammaticamente i medici negli ospedali e negli ambulatori. Qual è la ragione principale che impedisce il libero accesso? Contingentare il numero dei futuri medici, così da tenerne alto il potere economico. Meglio ancora, poi, se ad iscriversi siano solo i figli di. E ci stupiamo che i giovani vadano all’estero in cerca di dignità!

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