Se l’Italia è stata l’epicentro di un diffuso euroscetticismo negli anni passati, esistono dati che certamente spiegano questo sentimento. L’economia italiana versa in condizioni malconce da diversi decenni e non segnala un cambio di passo neppure dopo la pandemia, complice la debole congiuntura internazionale. L’euro è stato oggetto di strali da parte di comuni cittadini e politici, sebbene vada detto che non possa considerarsi la causa delle nostre sciagure. Semmai, è indubbio che la lunga stagnazione ci accompagna sin dalla marcia di avvicinamento alla moneta unica, iniziata agli albori degli anni Novanta con la firma del Trattato di Maastricht nel febbraio 1992.

Economia italiana ferma in era euro

Ufficialmente, l’euro nacque l’1 gennaio del 1999, anche se entrò fisicamente in circolazione solo tre anni più tardi. In questo lungo periodo di tempo fino al 31 dicembre 2022, cioè quasi un quarto di secolo, l’economia italiana risulta essere cresciuta in termini reali solamente del 12,7%. A titolo di confronto, la Francia ha segnato un balzo del 38,5%, la Germania del 32,5% e la Spagna del 49,7% per restare nell’Eurozona. Pensate che persino la Grecia ha fatto appena meglio con un +12,8%. E questo dopo che la sua economia è letteralmente collassata con la crisi finanziaria mondiale del 2008, seguita dall’implosione del debito pubblico sui mercati.

Benissimo anche Regno Unito e Stati Uniti, cresciuti rispettivamente del 49,7% e 68,9% nello stesso periodo. Di seguito, l’andamento sopra descritto tra il 1999 (incluso) e il 2022. Nella prima tabella, invece, troverete la crescita del PIL al 2019, prima della pandemia.

  • Italia:       +9,85%   +12,7% 
  • Francia:     +37,3%      +38,5%
  • Germania:  +31%        +32,5%
  • Spagna:     +49,8%     +49,7%
  • UK:            +47,4%     +49,7%
  • USA:          +60%        +68,9%
  • Grecia:       +8,6%       +12,8%

Bene Made in Italy

Di preciso, cos’è andato storto? La vulgata comune vorrebbe che l’economia italiana abbia perso competitività entrando nell’euro. Essendo una valuta più forte dei nostri fondamentali macro, molti sostengono che abbia frenato la crescita del PIL. Ma è stato davvero così? Paradossale che possa sembrare, l’Italia ha iniziato ad andare bene sul fronte delle esportazioni proprio con l’ingresso nell’euro.

In media, la nostra bilancia commerciale è stata positiva dello 0,77% rispetto al PIL. Ma prima della pandemia eravamo arrivati stabilmente sopra il 3%. In Spagna, il saldo è risultato in media negativo per il 4,79% e in Francia per il 2,63%.

Dunque, smentito uno dei capisaldi del pensiero euroscettico. Il Made in Italy ha beneficiato della valorizzazione delle produzioni nazionali. Molte imprese hanno smesso di confidare sul cambio debole per vendere all’estero e hanno iniziato a investire sulla qualità dei prodotti. I risultati, pur non immediati, sono arrivati.

Consumi deboli, investimenti trainanti

Ma se questo è vero, perché l’economia italiana è andata così male? Evidentemente, a “tradire” sono state le altre componenti del PIL. Una di queste sono i consumi delle famiglie. Nell’era euro, sono cresciuti meno del 9% in termini reali. In Spagna sono balzati di quasi il 48%, in Francia del 45% e in Germania di quasi il 24%. Ciò spiega in parte anche il saldo attivo della bilancia commerciale: i consumi viaggiano da molto tempo con il freno a mano e ciò tiene basse le importazioni.

E gli investimenti delle imprese? Rispetto al PIL siamo in linea con gli altri principali paesi. Nel 2022, ammontavano al 21,9% contro il 20% in Spagna, il 25,2% in Francia e il 22% in Germania. Nel 1999, primo anno dell’euro, erano al 19,9% in Italia, al 24,7% in Spagna, al 20,8% in Francia e al 23% in Germania. La crescita in termini reali è stata del 27,6% in Italia, del 14,6% in Spagna, dell’85,7% in Francia e del 32,6% in Germania.

Stagnazione economia italiana spiega bassi stipendi

Tirando le somme, l’economia italiana negli anni dell’euro è cresciuta pochissimo ed è stata trainata da esportazioni e investimenti, mentre è stata frenata dai consumi interni. D’altra parte è solo negli ultimi tempi che la politica italiana ha scoperto i bassi stipendi dei lavoratori, pur ignorandone le cause: la bassa produttività!

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