Sta infervorando il dibattito politico il caso del Museo Egizio di Torino, dopo che il direttore Christian Greco ha lanciato l’iniziativa “Fortunato chi parla arabo”, grazie alla quale sarà consentito alle coppie di “nuovi” italiani di pagare un solo biglietto all’ingresso, nel caso abbiano origini da uno dei paesi di lingua araba. Un gruppo di manifestanti ha protestato davanti alla sede dell’ente, tra cui la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Il direttore è uscito ad incontrare quest’ultima, spiegandole le ragioni della sua iniziativa, sostenendo che ne vengono prese di simili e diverse in favore di numerose categorie, tutte allo scopo di avvicinare il maggior pubblico possibile al museo, così che un elevato numero di visitatori veda i reperti storico-archeologici dell’Antico Egitto.

La spiegazione non è piaciuta alla leader di FdI, che ha successivamente annunciato che, nel caso di vittoria del centro-destra, chiederà l’uso dello spoil system per cambiare tutti i vertici degli enti pubblici e di nomina governativa, compresi quelli di natura culturale. La Meloni ha parlato di “razzismo al contrario”, ovvero verso gli italiani. In difesa di Greco si è speso il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, che ha evidenziato come le nomine del governo sarebbero sempre andate nel senso della competenza. Il direttore aveva anche fatto presente alla leader della destra italiana che il Museo Egizio non peserebbe sulle tasche dei contribuenti, auto-finanziandosi. (Leggi anche: Elezioni, Renzi teme la disfatta e ora il PD spinge sul pericolo fascista)

Lo scorso anno, a visitarlo risultano essere stati in 845.000, circa 7.000 in meno rispetto al 2016, ma i numeri appaiono in sé molto positivi, figurando all’ottavo posto tra i musei più visitati in Italia. Quanto ai bilanci, con 8,7 milioni di ricavi attesi dal preventivo e altrettanti costi, dovrebbe avere chiuso l’esercizio passato in pareggio, cosa non certo secondaria per un ente di fatto pubblico.

Sconto agli arabi ha senso?

Ma ha senso l’iniziativa di Greco? Da premettere che se il Museo Egizio fosse privato, nessuno potrebbe mettere becco sulle politiche adottate per attirare visitatori. In qualità di ente pubblico, tuttavia, il discorso si complica. L’obiettivo dovrebbe consistere nel consentire al maggiore pubblico potenziale possibile di mettervi piede, compatibilmente con le ragioni di bilancio. Ora, una pratica commerciale che punti a “discriminare” tra l’utenza per massimizzare il profitto in sé sarebbe non solo consentita, ma persino auspicabile. Ad esempio, gli sconti per le coppie a San Valentino vanno in questa direzione, perché incentiva due fidanzati o due coniugi a recarsi a visitare i reperti egizi, cosa che altrimenti non farebbero quel giorno, magari preferendo spendere in maniera diversa il proprio tempo.

Ma ha un qualche senso economico attirare visitatori con sconti sulla base della lingua parlata? In teoria, lo avrebbe se si riscontrasse un tasso di penetrazione commerciale inferiore alla media tra coloro che parlano l’arabo a Torino e dintorni. Tuttavia, non stiamo parlando di un pubblico amplissimo, né appare logico concentrarsi sul fattore linguistico, quando sarebbe stato meglio individuare un qualche altro criterio: l’età, il sesso, il reddito, etc. Quest’ultimo non sarebbe pratico, visto che non si avrebbe modo immediato di verificare le condizioni socio-economiche di un visitatore, a meno di immaginare che questo esibisca all’ingresso il suo 730 o un’autocertificazione Isee, cosa che avrebbe del ridicolo. Greco ha, quindi, difeso la sua iniziativa, sostenendo che sarebbe un modo per avvicinare al museo coloro che hanno origini proprio nelle aree da cui provengono i reperti.

Ora, il museo darà vita, come sempre, certamente a iniziative in favore di vari target, ma quando il discrimine avviene su un fattore linguistico, è naturale che si alimentino polemiche, dato che non ha nulla a che vedere con una politica commerciale finalizzata a sollevare il fatturato, visto che gli arabi oggi non incontrano alcun ostacolo nel visitare il museo, se non forse di tipo economico, per il quale caso valgono le considerazioni di cui sopra e relative ai reali criteri da prendere in esame per attirare visitatori, di tipo socio-reddituali.

Non solo un italiano, bensì pure un immigrato nigeriano, cinese o sudamericano potrebbero sentirsi discriminati dall’iniziativa, intravedendovi un modo per privilegiare un gruppo “etnico” anziché un altro. Vero è, poi, che FdI ha corretto il tiro, spiegando di non avere in animo di licenziare Greco, se vincesse le elezioni, anche perché il governo nomina solo uno dei componenti del board della Fondazione Museo delle Antichità Egizie, attraverso il Ministero dei Beni culturali, restando di nomina degli altri soci i restanti consiglieri, ovvero Comune di Torino, Provincia di Torino, Regione Piemonte, Compagnia San Paolo e Fondazione Crt. Semmai, Greco dovrà sperare che il centro-destra non vinca le elezioni amministrative dalle sue parti. E per qualche anno ancora potrà stare tranquillo.

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