“Il fatto non sussiste”. Non c’è stato il colpo di scena con la sentenza di ieri della Corte di Appello di Milano. Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, rispettivamente ex presidente e amministratore delegato di Monte Paschi, sono stati assolti con formula piena dalle accuse di falso in bilancio e aggiotaggio con riferimento alla errata contabilizzazione dei contratti derivati Alexandria e Santorini per i bilanci che vanno dal 2012 al primo semestre del 2015. In primo grado, il Tribunale di Milano li aveva condannati a 6 anni di reclusione e ad una sanzione pecuniaria milionaria.

Altri 800 mila euro erano stati comminati alla banca senese.

Dopo l’assoluzione di Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, arrivata inattesa esattamente un mese prima, la strada sembrava già spianata per gli altri due imputati. E, dunque, ci ritroviamo in una classica situazione all’italiana: c’è il morto ammazzato con diversi fori di altrettanti proiettili su tutto il corpo e per i giudici non c’è stato omicidio.

Da Antonveneta a nazionalizzazione, misfatto senza colpevoli

Tutti assolti, nessun colpevole, solo che c’è una banca che ha trascinato nel baratro l’intero sistema creditizio nazionale e che ha dovuto bussare alla porta dello stato per chiedere ben sette miliardi di euro dei contribuenti tra il 2017 e l’anno scorso. E il salvataggio tramite nazionalizzazione si è reso indispensabile proprio per il collasso finanziario seguito ad anni di bilanci truccati. Non ci sarebbe stato dolo per i giudici e, soprattutto, pare che le responsabilità fossero diffuse e non riconducibili alle condotte dei dirigenti accusati.

La verità è che le assoluzioni con sentenza hanno condonato un intero sistema. Monte Paschi è stata la banca di un ben preciso partito, che in città, provincia e regione ha spadroneggiato per decenni. Tramite la Fondazione, che rappresentava alla perfezione l’assetto politico-affaristico di Siena, i denari dei risparmiatori sono finiti a finanziare gli amici dei potenti.

Il resto lo ha fatto la Banca d’Italia all’epoca in cui era guidata da Mario Draghi. L’avallo dell’acquisto di Antonveneta, dubbio per cifre, tempi e modalità, fu il colpo di grazia assestato ai conti dell’istituto.

Con sentenze Monte Paschi titolo vola in borsa

Ora che non esiste alcun colpevole e che tutti sono colpevoli, nei fatti è finita a tarallucci e vino. Del resto l’indignazione popolare è stata sopita dagli anni che passano e dai nuovi problemi emersi nel frattempo, tra pandemia, guerre, caro energia e inflazione alle stelle. Ieri, alla notizia dell’assoluzione Monte Paschi chiudeva la seduta con un rialzo del 2,8% a 3,37 euro. La capitalizzazione è salita a 4,24 miliardi di euro, segnando un boom di oltre il 64% quest’anno. Dopo la sentenza di ieri, la banca potrebbe disporre di 200 milioni di euro accantonati a rischi legali. Ma la cifra salirebbe a un massimo di 500 milioni se tutte le richieste degli investitori fossero considerate oramai non accoglibili.

In pratica, è accaduto questo. Le azioni Monte Paschi diventarono carta straccia quando si scoprì del grosso ammanco di capitale, nascosto dai bilanci truccati. Servirono diverse ricapitalizzazioni per cercare (inutilmente) di ripianarlo. Coloro che avevano acquistato il titolo, lo avevano fatto sulla base di conti rivelatisi falsi. Avrebbero diritto a vedersi risarciti dell’investimento. Sarebbe come se acquistassi da un concessionario un’auto formalmente a km 0 e che poi si scopre avere già percorso 150 mila km. Ma per la giustizia non è andata così. Ovvero, i bilanci saranno stati pure non veritieri, ma nessuno ne è responsabile.

Privatizzazione agevolata

Il sistema ha vinto, il mercato ha perso. Ricordatevelo quando vi chiedete perché l’Italia non abbia appeal sui mercati finanziari. Certo, questa furbizia aiuta Monte Paschi nella delicata fase della privatizzazione. Poche settimane fa, approfittando il buon umore degli investitori, il Tesoro ha venduto il 25% del capitale per 920 milioni di euro.

Gli rimane in carico un altro 39%, che per contratto non può cedere prima dei 90 giorni, cioè alla terza settimana di febbraio. Ai prezzi di borsa attuali, questa quota vale sugli 1,65 miliardi. Se lo stato riuscisse ad uscire dal capitale a queste cifre, incasserebbe in tutto intorno a 2,5 miliardi. Non recupererebbe di certo i 7 miliardi spesi, di cui 1,6 miliardi un anno fa con la partecipazione alla ricapitalizzazione. Ma era impensabile fino a pochi mesi fa già solo il fatto che sarebbe riuscito perlomeno a recuperare i soldi spesi con quell’ultima operazione di fine 2022.

Ora più facile ipotesi terzo polo

Una Monte Paschi sgravata dai crediti deteriorati, appioppati anch’essi ai contribuenti tramite la società pubblica Amco, e liberata dai principali rischi legali acquisisce appeal in patria e all’estero. L’obiettivo del governo Meloni è di creare un terzo polo bancario da affiancare a Intesa Sanpaolo e Unicredit. Servirebbe la fusione con Banco BPM o Bper, sebbene i due ad oggi neghino di essere interessati al dossier. Tuttavia, l’aria attorno a Siena è cambiata. Monte Paschi non è più una banca reietta, bensì ufficialmente riabilitata dai giudici. Con buona pace dei piccoli investitori del passato.

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