Dopo Unicredit e Intesa Sanpaolo, che hanno registrato entrambi utili record rispettivamente per 8,6 e 7,7 miliardi di euro, anche Monte Paschi di Siena chiude un 2023 da incorniciare per lo stacco del primo dividendo dopo tredici anni. Lo ha comunicato l’istituto, il cui Consiglio di amministrazione ha approvato il bilancio d’esercizio per l’anno passato. L’utile netto è stato di 2 miliardi e 52 milioni, nettamente sopra le previsioni di 1 miliardo e 300 milioni. Nell’ultimo trimestre, il risultato è stato positivo di 1,123 miliardi contro i 310 milioni dello stesso periodo del 2022.

Ha contribuito al dato il rilascio di 471 milioni dal fondo per gli accantonamenti ai rischi, in relazione al venir meno di rischi legali a seguito delle recenti sentenze favorevoli alla banca per i bilanci fino al 2015.

Sale il margine, scendono i rischi legali

Dicevamo, Monte Paschi torna al dividendo. Il board proporrà all’assemblea degli azionisti una cedola di 0,25 euro per azione, pari ad un esborso complessivo per 315 milioni. Ai prezzi di borsa della chiusura di ieri si tratterebbe di un rendimento del 7,4%. A Piazza Affari la banca senese capitalizzava 4,45 miliardi, in rialzo quest’anno di un altro 4,4%. Ma il titolo sta salendo anche oggi per le notizie migliori delle previsioni in fatto di conti.

L’anno scorso, il bilancio registrava una perdita di 205 milioni. Il ritorno all’utile è avvenuto grazie principalmente all’aumento del margine di interesse del 49,3% a 2,292 miliardi. E il cost/income, cioè il rapporto tra costi e reddito, è sceso nel frattempo dal 68% al 49%. Ottimi i dati patrimoniali: Cet1 ratio fully loaded al 18,1%. Altra buona notizia: i rischi legali sono stimati in 890 milioni. Si tratta del cosiddetto “petitum”, ciò che la banca potrebbe essere chiamata a sborsare a favore dei ricorrenti in giudizio nel caso in cui le loro richieste fossero accolte integralmente.

Ci guadagna anche lo stato

Da questi numeri emerge anche che il margine di interesse sia salito dal 2,1% del 2022 al 2,8% dello scorso anno.

La banca è più capace di generare profitto prestando denaro grazie ai più alti tassi di mercato. A differenza di quanto abbiamo visto con Unicredit, però, i depositi bancari sono cresciuti nel corso del 2023, portandosi a 80,7 miliardi, al netto delle obbligazioni. A fine 2022 ammontavano a 73,36 miliardi. Considerate che nei primi undici mesi dell’anno, in Italia si è registrato un calo complessivo di oltre 114 miliardi. Dunque, Siena è andata in controtendenza.

Le buone notizie sono state particolarmente per i soci. Potranno ricevere finalmente una cedola dopo anni di ricapitalizzazioni a vuoto e di risultati che sembravano non arrivare mai. E può sorridere lo stato italiano, che ancora detiene il 39,24% del capitale dopo avere venduto il 25% a novembre. Gli spetteranno 123,6 milioni, che per un bilancio pubblico sono noccioline. Tuttavia, gli utili migliori delle attese renderanno più semplice trovare pretendenti per Monte Paschi. La banca risulta ripulita sia dai rischi legali che dai crediti deteriorati. Questi ultimi ammontavano a 3,5 miliardi a fine dicembre, al 4,4% dei prestiti al settore privato. E al netto delle coperture, scendevano al 2,3%.

Col dividendo Monte Paschi più appetibile

Non solo Monte Paschi è diventata più appetibile, ma anche più cara. In effetti, stamattina già apriva con un rialzo prossimo al 6% a 3,58 euro e una capitalizzazione sopra 4,7 miliardi. Per lo stato significa poterla rivendere incassando possibilmente di più dopo avere speso 7 miliardi con il salvataggio del 2017 e l’ultima ricapitalizzazione del 2022. Agli attuali prezzi di borsa, può sperare di recuperare intorno ai 2,7 miliardi. Resterebbe con una perdita secca di 4,3 miliardi, ma fino a un anno fa non sembrava possibile nemmeno ipotizzare cifre simili.

Certo, il 2023 è stato un anno per certi versi straordinario. Se solo se ne potessero replicare i risultati, non sarebbero questi i valori di borsa delle azioni Monte Paschi.

La capitalizzazione odierna si attesta a poco più di 2,5 volte l’utile netto appena dichiarato e alla metà del patrimonio netto. Troppo poco, con il rischio che lo stato debba “svendere” la sua quota per rientrare nei tempi fissati dalla Commissione europea per la privatizzazione. Ma al momento continua a mancare un acquirente. Unicredit torna ad essere indiziata per una possibile operazione di shopping in patria, pur tra le smentite del suo capo Andrea Orcel. Sarà la volta buona che arrivi il cavaliere bianco?

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