L’andamento a V del PIL italiano a causa della pandemia avrà effetti sull’importo delle future pensioni. Ci riferiamo alla quota dell’assegno calcolata attraverso il metodo contributivo. Quali lavoratori sono soggetti? Tutti coloro che al 31 dicembre 1995 avevano maturato almeno 15 anni di anzianità per l’intero importo, in virtù della legge Dini. La legge Fornero ha esteso tale calcolo anche agli anni maturati successivamente al 31 dicembre 2011 dai lavoratori che al 31 dicembre 2011 hanno maturato almeno 18 anni di anzianità.

Per gli importi soggetti al metodo contributivo gli assegni delle pensioni si ottengono sommando tutti i contributi versati negli anni considerati dal lavoratore.

Essi vanno rivalutati annualmente di un tasso pari alla crescita media quinquennale del PIL italiano fino al secondo anno precedente. Ad esempio, nell’anno 2021 la rivalutazione riguarda tutti contributi versati dal lavoratore al 31 dicembre 2019. I contributi versati nell’anno 2020 si sommano ai precedenti senza alcuna rivalutazione, la quale per essi avverrà a partire dall’anno prossimo.

Legame tra pensioni e recessione economica

Tuttavia, nel 2020 il PIL italiano è crollato dell’8,9% in termini reali e dell’8,25% in termini nominali. E’ stata la conseguenza della pandemia che ha colpito il nostro Paese, così come il resto del mondo. Per effetto di questo tracollo, la crescita media del PIL nominale nel quinquennio 2016-2020 risulta essere stata negativa. Il tasso di rivalutazione così ottenuto sarebbe di 0,999785, cioè il montante contributivo nel 2022 sarebbe ridotto, anziché aumentato.

Per evitare che ciò accada, una legge del 2014 ha previsto che la rivalutazione non possa essere mai negativa. Dunque, i contributi dei lavoratori italiani sono salvi. Ma la stessa norma prevede anche una compensazione di tale mancata rivalutazione negativa alla prima occasione utile. Cosa significa? Già nel 2023, grazie a un PIL nominale atteso in aumento quest’anno del 7,5%, la crescita media quinquennale tornerebbe positiva. Di quanto, lo sapremo solo a consuntivo.

Da quel dato, però, dovrà essere sottratto un valore pari a -0,000215. Dunque, la cosiddetta “clausola di salvaguardia” del 2014 garantisce i contributi delle pensioni erogate subito dopo la mancata rivalutazione negativa, ma al contempo trasferisce la perdita sulle pensioni future.

Chiaramente, gli effetti negativi di tale onere verranno meno quando l’economia italiana avrà recuperato del tutto la perdita accusata durante la pandemia, continuando semmai a gravare marginalmente per quei lavoratori che nel frattempo fossero andati in pensione. Essi risentiranno di quel -0,000215 ai fini del calcolo dell’assegno, non avendo avuto il tempo di beneficiare del recupero totale della perdita.

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