Mancano pochi mesi alla fine della sperimentazione triennale su quota 100. E i numeri ci dicono che il costo a carico dello stato nel periodo sarà stato di 16 miliardi, 5 in meno dei 21 stanziati nel 2018. Un gruzzoletto, che aprirebbe qualche spiraglio a favore dei lavoratori per andare in pensione prima dell’età ufficiale. Obiettivo del governo Draghi: trovare una soluzione per evitare il ritorno alla legge Fornero sic et simpliciter.

Quota 100 consentirà fino alla fine di quest’anno ai lavoratori con almeno 38 anni di contributi di andare in pensione già da 62 anni di età (62 + 38 = 100).

Rispetto ai 67 anni di età ormai in vigore per uomini e donne, un anticipo massimo di 5 anni. E la pensione anticipata consente agli uomini di lasciare il lavoro con 42 anni e 10 mesi di contributi, alle donne con 41 anni e 10 mesi. In questo caso, con quota 100 si risparmiano 3-4 anni e 10 mesi, a seconda del sesso.

Da nuova quota 100 a pensione per tutti a 62 anni

Ma la proroga della misura non ci sarà. Ed ecco spuntare alcune ipotesi per evitare il famoso “scalone” di cui sopra. In questi giorni, negli ambienti della maggioranza circola l’idea di una nuova quota 100, ma con almeno 64 anni di età e 36 anni di contributi. Il lavoratore dovrebbe essere di 2 anni più anziano rispetto a quanto la legge preveda oggi, ma gli basterebbero 2 anni di contributi in meno per andare in pensione. L’ipotesi non scalderebbe i cuori dei sindacati: l’anticipo rispetto all’età pensionabile ufficiale sarebbe di soli 3 anni e non ci sarebbe quello svecchiamento del mercato del lavoro a cui la riforma dovrebbe ambire.

Resta in auge l’ipotesi di quota 102. Sarebbe una soluzione più rigida della nuova quota 100: in pensione con 64 anni di età e 38 di contributi. In pratica, rispetto ad oggi servirebbe un’età anagrafica più alta di 2 anni.

E’ evidente che i sindacati non apprezzino. Essi punterebbero più che altro su quota 41: tutti in pensione con 41 anni di contributi. Finora, è possibile per i lavoratori precoci, cioè coloro che abbiano iniziato a lavorare in giovane età. Ma una soluzione generalizzata di questo tipo appare potenzialmente costosa.

Ed ecco affacciarsi un’altra proposta: in pensione a 62 anni, ma solamente per la parte contributiva. In pratica, il lavoratore avrebbe modo di andare in quiescenza a quell’età per una parte dell’assegno. Quello intero gli sarebbe liquidato al raggiungimento dei requisiti ufficiali. Il costo per lo stato sarebbe minimo (il contributivo di fatto lega l’assegno ai contributi versati e agli anni di vita residui secondo la statistica ufficiale), ma ad approfittarne sarebbero solamente i lavoratori più fortunati, ovvero coloro che percepiscono da tempo retribuzioni alte e, pertanto, potrebbero accontentarsi per un periodo fino a 5 anni di lasciare il lavoro incassando un assegno parziale.

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