Il 2021 aveva fatto sperare in una ripresa stabile del mercato immobiliare italiano. Lo scorso anno, sino state vendute 748.000 case, il 34% in più rispetto al 2020. Un boom, che era stato trainato da una serie di fattori concomitanti. Per prima cosa, uscivamo da un 2020 a dir poco disastroso. La pandemia aveva fermato le attività, costringendo al rinvio di molti acquisti di beni immobili. Inoltre, la BCE aveva iniettato così tanta liquidità sui mercati da far sprofondare i tassi d’interesse ai nuovi minimi storici.

Di riflesso, il costo dei mutui si era contratto ulteriormente, sostenendone la domanda. E lo stesso governo aveva cercato di risollevare le sorti del mercato immobiliare con incentivi a favore delle giovani coppie. Infine, con la pandemia milioni di lavoratori furono costretti a lavorare da casa. Ne sorse un impulso a migliorare le condizioni delle abitazioni, ristrutturandole o comprandone di nuove e più idonee agli spazi d’ufficio.

Questo mix si scontra quest’anno con il ritorno dell’inflazione. E qui si verifica un paradosso, se vogliamo. Per decenni, in Italia inflazione voleva dire investimenti sul mattone. Le famiglie compravano case non solo per esigenze abitative, ma per cercare di proteggere il loro potere d’acquisto dall’aumento dei prezzi. Adesso, non solo non è più così, anzi funziona al contrario: più inflazione riduce la domanda di case.

Per capire quanto stia accadendo, dobbiamo partire dalle cause che hanno alimentato il carovita: colli di bottiglia in fase di produzione e conseguenza delle restrizioni anti-Covid; boom dei prezzi delle materie prime, specie con la guerra ucraina. Mai come in questi mesi riscaldare e illuminare casa era stato così caro. Altro che acquistare abitazioni più grandi; molte famiglie avvertono semmai l’esigenza opposta, ovvero di limitare i costi delle bollette, cioè anche di ridurre eventuali spazi inutilizzati.

Mercato immobiliare tornato sotto stress

Secondo Nomisma, per il triennio 2022-2024 assisteremmo a un calo delle compravendite sotto le 700.000 all’anno.

E i prezzi delle case vendute cresceranno al ritmo medio dell’1%, circa l’1% in meno rispetto allo scenario previsto prima della guerra. E’ un mercato immobiliare tornato in affanno quello che emerge dall’analisi. Peraltro, sul piano psicologico non starebbe giovando neppure la riforma del catasto, approvata dal Parlamento nelle scorse settimane per un solo voto di scarto e che rischia di innalzare la futura tassazione sugli immobili.

Infine, la BCE si avvia a tagliare gli acquisti di bond, riducendo la liquidità sui mercati e preparandosi ad alzare i tassi d’interesse nel medio termine. Il mercato si è portato avanti, scontando un costo del denaro in aumento. I tassi sui mutui saliranno nei prossimi mesi. Prendete l’IRS a 20 anni: l’altro ieri si attestava a 1,23% da 0,35% di inizio anno. Si tratta di un aumento dello 0,88%, che se trasferito parimenti sul costo del mutuo porterebbe a un incremento della rata mensile di oltre 40 euro su un capitale di 100.000 euro preso a prestito per un ventennio. Su base annua, si tratterebbe di un maggiore esborso di circa 484 euro, circa una rata in più per 20 anni.

Ricordiamoci che negli anni Settanta, Ottanta e buona parte dei Novanta, le famiglie italiane erano solite finanziare l’acquisto di una casa senza ricorrere al mutuo. Lo permettevano le migliori condizioni finanziarie, ma lo imponeva il mancato accesso al credito per via dei tassi proibitivi richiesti dalle banche. In quella lunga fase positiva per il nostro mercato immobiliare, le variazioni dei tassi sui mutui avevano scarsi effetti sulla domanda di case, riguardando un numero ristretto di clienti. Adesso, la situazione risulta ribaltata.

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