Surat è una città dell’Ovest dell’India, dove ogni anno viene intagliato e lucidato l’80% della produzione di diamanti al mondo. Nel vasto paese asiatico, infatti, l’industria delle gemme preziose impiega ben un milione di persone, di cui la gran parte proprio qui. In teoria, questo dovrebbe essere un periodo dell’anno propizio per gli operatori del settore, tra la stagione dei matrimoni successiva al Diwali, tipica della tradizione indiana, e l’attesa per l’arrivo del San Valentino, giornata alla quale sono legate le vendite di diamanti.

Invece, quest’ultimo scorcio di 2016 è molto diverso dai precedenti. Si respira aria di crisi per il comparto e la causa viene fatta risalire proprio alla stessa India. (Leggi anche: Diamanti, De Beers sfata il mito dei giovani poco interessati alle gemme preziose)

L’8 novembre scorso, il governo di Nuova Delhi, guidato dal premier Narendra Modi, ha avviato la “demonetizzazione” dell’economia indiana, annunciando il ritiro delle banconote da 500 e 1.000 rupie, che rappresentavano l’86% dell’intero cash circolante e assegnando pochi giorni di tempo per portare in banca tali biglietti e scambiarli con altri dal taglio inferiore o con altri di nuova emissione fino a 2.000 rupie. Sono stati anche introdotti limiti al ritiro di denaro contante dagli ATM ad appena 2.500 rupie al giorno (limiti superiori sono stati previsti per i titolari di alcune attività), pari a circa 36 euro.

La crisi di liquidità indiana colpisce l’industria dei diamanti

Poiché la banca centrale non è stata in grado di sostituire celermente le vecchie banconote fuori corso con altre di nuova emissione, nel sub-continente asiatico si è scatenata una crisi di liquidità abbastanza seria, tanto che ancora in questi giorni si registrano lunghe file dinnanzi agli ATM per il ritiro del contante da parte di molti clienti, che temono di non essere in grado di effettuare i pagamenti quotidiani.

Questi sono cash nel 98% dei casi, per cui l’impatto della misura di Modi, che punta a contrastare l’evasione fiscale, è stato e continua ad essere devastante. (Leggi anche: Stretta sul contante, nuovi limiti in India)

Poiché gli intagliatori di diamanti vivono di transazioni cash, le loro attività si sono quasi del tutto fermate in queste settimane, con la conseguenza che il mercato dei diamanti non solo non si mostra vivace in questo mese di dicembre, ma viene colpito da una crisi, che dovrebbe durare fino ai prossimi mesi. Non tutto, però. Pare che a fare le spese di questa crisi di liquidità indiana siano, anzitutto, i diamanti più piccoli e di minore qualità, quelli che vengono venduti a un prezzo non superiore ai 14.500 dollari.

 

 

 

 

La crisi non riguarda i diamanti di maggior valore

Le altre gemme, invece, continuano ad esibire una ripresa delle quotazioni, che quest’anno è stata intorno all’8%. Ciò lo si spiega col fatto che il loro intaglio e la pulitura non dipendono da operazioni cash, bensì da transazioni bancarie. E queste non sono intaccate dalla crisi di queste settimane. In più, queste pietre vengono trattate anche altrove, come in Israele e Belgio.

In realtà, già prima della “demonetizzazione” in corso, l’industria dei piccoli diamanti avrebbe segnalato un tracollo dei prezzi intorno al 25%. Resta il fatto, che tra aprile e novembre, le importazioni di gemme preziose in India sono cresciute del 30,5%, mentre le esportazioni sono salite del 12,2%. Numeri, che indicano come l’industria dei diamanti avrebbe confidato su un fine 2016-inizio 2017 con i fiocchi, mentre la realtà che si è materializzata appare assai diversa. (Leggi anche: Investire in diamanti conviene ancora?)