Le cifre diffuse dall’ISTAT sul mercato del lavoro in Italia nel mese di ottobre appaiono relativamente confortanti. Il numero degli occupati è salito in un anno di circa mezzo milione al nuovo record storico di 23.231.000 unità. Il tasso di occupazione segna anch’esso un massimo storico al 60,5%. Nel dettaglio, la platea delle persone occupate nel nostro Paese è così composta:

  • dipendenti stabili 15.264.000
  • dipendenti a termine 2.980.000
  • indipendenti 4.987.000

La crescita dell’occupazione in Italia è un fenomeno di lungo periodo. Il mercato del lavoro segnalò un deciso miglioramento tra il 2004 e il 2008, salvo ripiegare tra il 2008 e il 2013 a seguito della crisi finanziaria mondiale e del suo impatto brutale sulla nostra economia.

Il tasso di occupazione sprofondò in quel periodo da oltre il 58% al 55%. La ripresa era durata fino a inizio pandemia, quando il tasso era risalito al 59% per schiantarsi nel 2020 a poco più del 56%. Ma erano i mesi dei lockdown.

In mezzo a cifre senz’altro incoraggianti, altre lo sono meno. Tuttora esistono 13 milioni di italiani inattivi nella fascia di età compresa tra 15 e 64 anni. Sono persone che non lavorano, che un lavoro non lo cercano e al contempo non studiano e né frequentano un corso di formazione professionale. I cosiddetti NEET tra i 15 e i 34 anni in Italia sono 3 milioni, con percentuali del 39% al Sud, per scendere al 23% al Centro, al 20% nel Nord-Ovest e 18% nel Nord-Est.

Punti deboli del mercato del lavoro italiano

Gli inattivi incidono per il 34,3% della popolazione in età lavorativa. In altre parole, a fronte di neppure due persone su tre che lavorano o almeno cercano lavoro attivamente, più di un terzo resta a casa. Il nostro tasso di partecipazione al mercato del lavoro risulta essere tra i più bassi dell’area OCSE. E’ la grande anomalia italiana, anche se concentrata quasi del tutto al Sud. Qui, il tasso di occupazione si ferma sotto il 50% o meno, mentre al Nord sfiora il 70%.

Stesso discorso per l’occupazione femminile in tutto lo Stivale: al 50% contro quasi il 70% tra gli uomini.

Sono tre i punti di estrema debolezza del mercato del lavoro italiano: giovani, donne e Sud. Aumentare i rispettivi tassi di occupazione sarebbe l’unico modo per affrontare le più grandi criticità dell’economia domestica. Abbiamo milioni di risorse inespresse, di potenziale inesplorato e un’area sotto Roma che dipende in tutto e per tutto dall’assistenza del governo centrale. E quest’ultima è resa possibile solo grazie al gettito fiscale “extra” del Nord. Pensate che se solo l’occupazione meridionale tendesse alle percentuali medie nazionali, si creerebbero 1,2 milioni di posti di lavoro. L’occupazione nel complesso si porterebbe al 64%, avvicinandosi alla media europea.

A completamento del ragionamento, bisogna ammettere che il mercato del lavoro reale sia un po’ diverso da quello che emerge dai dati ufficiali. La piaga del lavoro nero è sempre presente al Sud, in particolare. In parte, ciò lenisce la povertà effettiva di quell’area; dall’altra, non contribuisce in misura sufficiente al sostentamento dell’economia nazionale. Su un lavoratore in nero non ci sono contributi versati, né imposte pagate. E ciò devasta i conti della previdenza.

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