La lettura del testamento di Silvio Berlusconi consegna la maggioranza assoluta del capitale Fininvest ai fratelli maggiori Marina e Pier Silvio. Insieme e con quote paritetiche avranno il 53%. Il restante 47% sarà suddiviso tra gli altri fratelli, nati dal secondo matrimonio del padre con Veronica Lario: Barbara, Eleonora e Luigi. Contrariamente alle indiscrezioni della vigilia, non esistono condizioni fissate per assumere decisioni a larga maggioranza. Marina e Pier Silvio potranno amministrare la holding anche da soli, se vorranno. I fratelli non avranno poteri di veto.

Fininvest ha partecipazioni in società quotate in borsa come Mediaset (48,57%), Mediolanum (30%) e Mondadori (53%). A questo punto, il gruppo televisivo non risulta più in potenziale vendita come si vociferava subito dopo la morte dell’ex premier e fondatore.

Marina e Pier Silvio controllano Fininvest da soli

Questo scenario lo escludono categoricamente proprio Marina e Pier Silvio. Può tirare un sospiro di sollievo il governo Meloni. Se Mediaset fosse stata sul mercato, avrebbe perso un gruppo mediatico a sé vicino. E non ne vanta altri. Per non parlare delle grane che avrebbe avuto nel dover decidere se esercitare e a quali condizioni il “golden power”. Le telecomunicazioni sono un asset strategico nazionale e, in quanto tale, il governo ha l’ultima parola sul trasferimento del controllo.

Se c’è qualcuno estremamente insoddisfatto per le ultime volontà di Silvio Berlusconi, questa è la famiglia Bolloré. A capo di Vivendi, detiene ancora una partecipazione complessiva del 23% in Mediaset. Nel 2017 tentò inutilmente la scalata dopo essere arrivati a ridosso del 30%. Fininvest reagì percorrendo varie strade, tra cui le vie legali. I Bolloré dovettero scendere ad un accordo di recente, riducendo la loro quota e vendendola gradualmente proprio alla holding dei Berlusconi.

Sempre Vivendi nel 2015 scalò TIM e detiene oggi il 23,75% del suo capitale. Investì circa 4 miliardi di euro nell’operazione, ma già a bilancio ha dovuto svalutare la quota di 3 miliardi con il tracollo dei prezzi in borsa.

Soprattutto, si trova nell’inedita condizione di essere socio di maggioranza relativa e di non controllare il consiglio di amministrazione. Per mezzo di un blitz effettuato nei primi mesi del 2018, l’allora governo Gentiloni fece entrare Cassa depositi e prestiti nel capitale. Attraverso alleanze con fondi stranieri, il ribaltone per il controllo societario riuscì. Ma i francesi restano sulle barricate per la cessione di NetCo, la società a capo della rete e di Sparkle. Quest’ultima gestisce migliaia di km di cavi sottomarini da cui transitano le comunicazioni sensibili tra governi.

Dopo Mediaset TIM fronte caldo per Vivendi

A giugno, il CDA ha dato il via libera all’unanimità alle trattative con il fondo americano Kkr. Questi aveva presentato un’offerta non vincolate di 23 miliardi di euro per rilevare NetCO. Entro settembre dovrà presentarne una vincolante. Il punto è che Vivendi non avallerà la cessione se l’offerta non sarà di almeno 30-31 miliardi. Gli americani arriverebbero per il momento a un massimo di 25 miliardi. L’AD Pietro Labriola spera di chiudere l’accordo. Il debito lordo della compagnia ammonta a 31,3 miliardi e di questo 5,9 miliardi dovranno essere rifinanziati entro i prossimi dodici mesi. Poiché i rating assegnati sono “spazzatura”, i costi di emissione dei bond risultano elevati. Ciò sta legando le mani a TIM sugli investimenti, a causa dei margini di bilancio scarsissimi.

C’è di certo che Vivendi non abbia alcuna voglia di uscire da TIM con un altro flop. La campagna italiana si è rilevata fallimentare. I francesi pensavano che avrebbero rilevato il controllo di asset strategici senza colpo ferire, mentre si sono ritrovati contro sia il famoso “sistema Italia”. Adesso che in Mediaset per loro i giochi sembrano definitivamente chiusi, si concentreranno a fare le barricate in TIM per tenersi la rete o venderla solo alle cifre elevate e fuori mercato pretese.

Se salta l’accordo con Kkr, però, il governo Meloni dovrebbe tornare all’ipotesi di una seconda offerta CDP-Macquarie, le due entità a capo di Open Fiber. Nascerebbero problemi legali con l’Antitrust europeo, visto che la proposta arriverebbe dai controllanti dell’unico soggetto concorrente sul mercato domestico sul fronte della fibra ottica. L’estate sarà calda per il sistema delle telecomunicazioni italiano.

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