Fu alla Sorbona che, eletto da pochi mesi alla presidenza di Francia, nel settembre del 2017 Emmanuel Macron teneva il suo celebre discorso con cui dava nei fatti avvio al suo primo mandato. Poco più di sei anni e mezzo dopo, la location resta la stessa e anche questa volta l’inquilino dell’Eliseo manda un messaggio non solo ai suoi concittadini, bensì a tutta l’Unione Europea. In parte, le sue parole ricalcano quelle pronunciate una settimana prima dall’ex premier italiano Mario Draghi sulla necessità di compiere passi in avanti verso l’unione politica del continente.

Ma c’è di più. Nel mirino del 46-enne c’è anche la Banca Centrale Europea (BCE) a cui chiede una revisione strategica della sua politica monetaria.

Macron chiede una BCE più interventista

Secondo Macron, l’istituto non deve soltanto concentrarsi sull’unico obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi. Esso dovrebbe interessarsi anche di sostenere la crescita economica e la decarbonizzazione. Una posizione che lo accumuna paradossalmente alla premier Giorgia Meloni, da sempre critica verso l’operato della BCE sui tassi di interesse. E non è forse un caso che lo spread tra BTp e Bund sia sceso drasticamente a 130 punti base nell’ultima seduta della settimana scorsa, dai 140 a cui si era portato poco prima. I mercati fiutano il taglio dei tassi, anzi un possibile riposizionamento più complessivo di Francoforte.

A cosa ha fatto riferimento Macron? La BCE ha per statuto quale unico obiettivo per la sua politica monetaria di mantenere la stabilità dei prezzi. Che cosa s’intende per tale espressione? Fino al 2021, consisteva in un tasso d’inflazione “vicino, ma di poco inferiore al 2%” nel medio termine. Nel 2021 si fece più chiarezza: “inflazione al 2% nel medio termine” e simmetricità, nel senso che la BCE s’impegna a contrastare in egual misura sia un livello superiore che inferiore al target del 2%.

Target d’inflazione e doppio mandato negli States

L’adozione del cosiddetto “inflation targeting” si diffuse a partire dagli anni Ottanta tra le grandi banche centrali per cercare di domare l’inflazione e garantire ai mercati un ancoraggio stabile alle loro aspettative. La Federal Reserve si distingue per il suo famoso doppio mandato sin dai tempi della Grande Depressione. Essa punta a mantenere la stabilità dei prezzi da un lato (inflazione al 2%), ma compatibilmente con l’altro obiettivo della piena occupazione. Questa è intesa attualmente come un mercato del lavoro con un tasso di disoccupazione sotto il 4%.

I critici à la Macron eccepiscono, quindi, che la BCE farebbe poco per sostenere la crescita nell’Eurozona, essendo troppo concentrata sull’inflazione. La Germania è custode dell’attuale politica monetaria, intravedendo il rischio di disancorare le aspettative del mercato nel medio-lungo termine. In quel caso, torneremmo agli anni dell’instabilità dei prezzi, cioè dei tassi d’inflazione moderati o persino galoppanti. Il francese non la pensa così. Ritiene, al contrario, che Francoforte debba sostenere gli sforzi dei governi e delle aziende contro i cambiamenti climatici. Come? Evidentemente, sostenendone le emissioni di debito finalizzate al taglio delle emissioni inquinanti.

Francia tra bassa crescita e debito alto

E qui arriviamo al vero nocciolo della questione. Macron non è interessato ad un dibattito teorico sulle funzioni della banca centrale. Egli ha paura delle condizioni in cui versa l’economia francese. Cresce poco, non è competitiva e mostra un debito pubblico crescente sul Pil, ormai sopra il 110%. Era a meno della metà prima della crisi del 2008. Le agenzie di rating qualche segnale lo hanno lanciato. Nel frattempo, la spesa per interessi cresce, come ovunque nel mondo. A ridosso delle elezioni europee di giugno, il partito del presidente, La République En Marche, è molto indietro nei sondaggi rispetto al Ressemblement National di Marine Le Pen.

Macron non si gioca la carta della BCE in vista delle europee ormai imminenti. La sua è una visione più lunga. Sa che in Francia si voterà tra tre anni e, di questo passo, la destra sovranista arriverà all’Eliseo. Vuole, quindi, che la governance europea cambi in modo tale da rispondere alle richieste di larga parte della popolazione francese e nel resto del continente. La sua sembra una partita solitaria. I tedeschi non vogliono abbandonare le premesse sulle quali diedero il loro assenso alla nascita dell’euro agli inizi degli anni Novanta, tra l’altro su pressione di Parigi. L’Italia può essere un alleato “ad acta”, ma la sintonia tra i due rispettivi leader manca.

Macron dovrà sperare in Lagarde

L’unica speranza che Macron ha di trasformare in azioni le sue richieste, sarebbe che Draghi arrivasse alla presidenza della Commissione europea e attuasse i suoi propositi. Fino ad allora o in alternativa, dovrà arrangiarsi a sperare che la sua connazionale Christine Lagarde superi le resistenze dei “falchi” alla BCE e inizi a tagliare i tassi a buon ritmo. Chissà se non sia intervenuta già una qualche telefonata tra i due. Di certo è cambiato l’atteggiamento del governatore francese François Villeroy de Galhau. Da prudente è diventato un sostenitore senza tentennamenti dell’allentamento monetario. Segno che a Parigi c’è paura per l’economia e i conti pubblici.

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