Emmanuel Macron 1, sindacati 0. Ma se fossimo durante una partita di calcio, saremmo probabilmente a metà del primo tempo. Questa settimana, il Senato francese ha approvato con 201 voti a favore e 115 contrari la riforma delle pensioni voluta dal governo di Elisabeth Borne. L’assemblea non è eletta direttamente dai cittadini, bensì dagli enti locali. E forse anche per ciò ha potuto accelerare l’iter contro il parere della stragrande maggioranza della popolazione, che per i sondaggi risulterebbe contraria al provvedimento. A dare una mano al presidente è stato il centro-destra dei Républicains.

Proprio perché scarsamente rappresentati nelle amministrazioni locali, i centristi pro-Macron al Senato praticamente non esistono. Restano forte destra e sinistra tradizionali.

Età pensionabile e assegno pieno con più anni

La riforma delle pensioni in Francia è stata un tabù negli ultimi trenta anni. Due presidenti di destra vi hanno ambito, ma dovettero fare un passo indietro per via delle proteste diffuse. Furono Jacques Chirac nel 1996 e Nicolas Sarkozy nel 2010. Gli scioperi non mancano neppure in questi mesi. Anzi, questa settimana sono state 1,28 milioni le persone ad essere scese in strada per protestare contro il governo. Molte di loro, intervistate dai media, hanno persino sostenuto che al prossimo giro voterebbero per il Rassemblement National di Marine Le Pen.

Cosa prevede la riforma delle pensioni transalpina? Dal settembre 2023 l’età pensionabile sale gradualmente dai 62 anni di oggi ai 64 anni entro il 2030, al ritmo di tre mesi l’anno. E per ottenere l’assegno pieno, serviranno entro il 2027 172 trimestri (43 anni) dai 168 (42 anni) attuali. Se vogliamo essere sinceri, poca roba rispetto a quanto hanno previsto negli ultimi anni le riforme nel resto d’Europa. Gli altri stati comunitari hanno un’età pensionabile di 65 anni o più. In Italia, è salita a 67 anni per uomini e donne con la legge Fornero. In Germania, attualmente si può andare in pensione a 65 anni e 11 mesi e l’assegno pieno si ottiene solo con almeno 45 anni di contributi.

Riforma pensioni decisiva per presidenza Macron

Dal punto di vista personale, Macron non ha nulla da perdere. Non può più ricandidarsi, essendo al secondo mandato. Tuttavia, la riforma delle pensioni rischia di provocare un altro terremoto politico in Francia. I consensi si starebbero spostando a destra, mentre i centristi nel 2027 rischiano di perdere non solo il leader carismatico di questi anni, bensì un oggetto sociale che risulti anche solo minimamente popolare. La sinistra è fortemente contrariata dalla riforma e ciò alza un muro con il partito del presidente. Le convergenze di quest’ultimo si stanno trovando, invece, con la destra gaullista.

I sindacati lamentano che la riforma delle pensioni sia voluta dall’Eliseo per ragioni ideologiche. Le casse previdenziali pubbliche restano in attivo, sebbene nei prossimi anni dovrebbero passare in rosso. Macron spiega che essa sia necessaria per stabilizzare i conti della previdenza nei decenni futuri e in cambio si è detto disponibile ad aumentare le pensioni minime a 1.200 euro al mese per i neo-pensionati. Di fatto, con il voto del Senato si compie il primo passo per smantellare quella che sembra a tutti gli effetti una “eccezione francese”. L’iter alla Camera alta sarà completato entro domenica. Dopodiché l’attenzione si sposterà all’Assemblea Nazionale, dove i numeri sono più forti per Macron. Ma l’elezione diretta farà sì che i deputati avvertano più dei loro colleghi senatori la pressione delle piazze.

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