La lotta all’evasione fiscale è formalmente in cima alle agende di tutti i governi, ma nei fatti non è mai stato così. Al di là di una forte differenza di approccio al problema, destra e sinistra non hanno mai avuto convenienza ad andare fino in fondo. Contrariamente a quanto crediamo, il mancato pagamento delle imposte è un fenomeno che riguarda tutte le categorie sociali e produttive. Ci sono i dipendenti che arrotondano con qualche lavoretto extra in nero o lavorano tutto il giorno in maniera irregolare.

Ci sono imprese e autonomi che non emettono tutte le fatture o non battono tutti gli scontrini come dovrebbero.

Contro l’evasione fiscale torna il redditometro

In questi giorni, la novità della riattivazione del redditometro ha spiazzato tutti, compresa la stessa maggioranza di governo. Ha fatto così scalpore, che la premier Giorgia Meloni è intervenuta sui social per rassicurare che lo strumento di lotta all’evasione fiscale non sarà utilizzato per scandagliare le vite dei cittadini comuni. Nelle ore precedenti, gli alleati di Lega e Forza Italia si erano espressi contro. Viceversa, l’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, già esponente di spicco degli ex Ds, si era detto “favorevolissimo”.

Fenomeno più marcato al Sud

Secondo l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, nel 2021 l’evasione fiscale in Italia è stata pari a 83,65 miliardi di euro. Stando a questi dati, il 4,6% del Pil in meno incassato dallo stato. Quante cose potremmo fare con una simile cifra? Potenziare servizi come la sanità, l’istruzione, la manutenzione di strade, autostrade, ferrovie, migliorare l’assistenza alle famiglie, ecc. In alternativa, ridurremmo il debito pubblico. Il fenomeno, dicevamo, è trasversale alle categorie sociali. Tuttavia, è molto più visibile al Sud. Il tasso di evasione fiscale più alto si riscontra in Calabria al 18,4%, mentre in più basso nella Provincia Autonoma di Bolzano al 7,7%. La media nazionale è dell’11,2%.

Tutte le otto regioni meridionali guidano la classifica. In Lombardia si scende all’8%, secondo dato più basso. C’è una questione Sud, che non può essere derubricata a semplice povertà relativa. Molti non pagano imposte e tasse per estraneità alla vita civile. Cittadini che non hanno ben chiaro come si stia al mondo, che pensano che lo stato sia una mammella da cui succhiare il latte senza contribuire a sostentarlo. Queste persone votano e, non avendo ben chiaro il rapporto tra spesa pubblica e gettito fiscale, incidono negativamente sulla sfera statale. Premiano soluzioni che dilatano i costi a carico dello stato senza prevedere adeguate coperture. Ed è anche così che siamo arrivati a possedere un debito pubblico in direzione dei 3.000 miliardi di euro.

Alta diffidenza verso lo stato italiano

Ma l’evasione fiscale non è solo attinente a questi strati sociali per certi versi irrecuperabili e a cui, più che offrire un reddito di cittadinanza, la cittadinanza andrebbe tolta. Ci sono numerosi cittadini che quotidianamente si alzano presto la mattina, vanno a lavorare e rincasano la sera. Sono lavoratori autonomi, piccoli imprenditori e anche lavoratori dipendenti. Producono ricchezza, compiono grossi sacrifici che spesso non vedono adeguatamente ricompensati. Su di loro ricade l’onere di finanziare la cosa pubblica, mentre i servizi goduti sono spesso carenti. Anzi, la burocrazia fa di tutto per punirli, quasi come se fosse una colpa da espiare quella di fare impresa e darsi da fare.

Questi ceti propendono per l’evasione fiscale per diffidenza nei confronti dello stato. Non credono che i loro soldi vengano ben impiegati, anzi notano che siano regolarmente scialacquati in sprechi di ogni sorta e in un crescente, insostenibile assistenzialismo. Per anni i governi che si sono succeduti hanno fatto a gara per offrire di più a chi meno fa. Un ribaltamento del modo di ragionare rispetto all’uomo della strada, che di certo non ha favorito la credibilità delle istituzioni.

I sussidi elargiti a chi non lavora o dichiara redditi bassi sono infiniti e pesano per decine di miliardi all’anno sul bilancio statale. Si è arrivati al punto che lavorare non conviene, dato che lo stato aiuta senza freni sotto certi livelli di reddito per caricare di imposte e tasse tutti coloro che vi si trovano anche di poco sopra.

Tagli a sussidi e spesa pubblica inutile

La lotta all’evasione fiscale deve procedere di pari passo al taglio di questi sussidi e della spesa pubblica improduttiva. Se il cittadino-contribuente percepisce che gli sprechi e l’assistenzialismo più bieco e clientelare si stiano riducendo, sarà gradualmente più propenso a dichiarare i redditi effettivamente percepiti. Resterà un’aria grigia, quella irrecuperabile di cui sopra e composta anche dagli iper-diffidenti, ma che inciderà sempre meno sul bilancio e sarà più facile stanare.

Minore evasione fiscale con stato più credibile

Pensare, invece, che la lotta all’evasione fiscale sia avulsa da tutto il resto è un atteggiamento ideologico che non ha mai portato a nulla. E’ vero che tutti siamo tenuti a pagare le imposte previste dalla normativa fiscale, anche se ci sembrano elevate e ingiuste. E’ altresì vero che la politica non debba apparire mai incline a giustificare i contribuenti infedeli. Tuttavia, serve che lo stato sia credibile per pretendere il rispetto delle regole. Sprecare denaro pubblico è immorale, perché equivale ad usare male o con dolo i denari di chi lavora e fatica per produrli. In più, contribuisce all’idea che, se anche pagassimo tutti il dovuto, lo stato finirebbe per spendere ancora di più (e peggio) con il maggior gettito. Ed erogare sussidi generosissimi è altrettanto controproducente, perché invia ai cittadini il segnale sbagliato, ovverosia che sgobbare sia da fessi, mentre poltrire sul divano diventi accettabile. Tutto questo porta al rigetto verso lo stato e alle imposte per finanziarlo.

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