Torna il cosiddetto “redditometro”. E con un governo di centro-destra non ce lo aspettavamo. Ieri, la precisazione del vice-ministro dell’Economia, Maurizio Leo, secondo cui non ci sarebbe alcun ritorno al passato. Si tratterebbe di emanare un decreto attuativo, previsto con l’abolizione di questo strumento fiscale nel 2018, a garanzia dei diritti dei contribuenti e che porrebbe limiti all’azione dell’amministrazione finanziaria in tema di accertamento sintetico. Nelle ore precedenti, Forza Italia e Lega si erano sfilate.

Redditometro per scovare incongruenze nelle dichiarazioni

La novità di ieri introduce undici tipologie familiari e cinque macro-aree geografiche quali riferimenti per procedere alla determinazione dei redditi dei contribuenti, al fine di valutare eventuali incongruenze rispetto alle loro dichiarazioni fiscali.

Leo può fare tutte le precisazioni che vuole, ma di redditometro si tratta. Dobbiamo tornare indietro al 1993 per giungere all’origine di un provvedimento che giustamente inquieta milioni di famiglie. Badate bene, anche molte fedeli sul piano fiscale.

Come funziona l’accertamento

In cosa consiste? Il Fisco fa un’analisi di tutte le spese e gli investimenti effettuati da un nucleo familiare e da lì ricostruisce un reddito presunto. Se questo dovesse risultare molto differente da quello dichiarato, si procede alla contestazione formale. Anche i contribuenti avranno modo di contestare le ricostruzione dell’amministrazione finanziaria, ha aggiunto il vice-ministro.

Il redditometro è un’idea molto semplice. Se ci pensate bene, specie adesso che gran parte delle spese risulta tracciabile, è più agevole capire quali possano essere le entrate di una famiglia. Se spendo ogni anno 1.000 euro al ristorante, 2.000 euro per andare in vacanza e altri 1.000 euro per frequentare cinema, teatri e stadi, verosimile che non sarò a reddito zero. Certo, alcune spese possono essere finanziate con i risparmi degli anni precedenti. Non a caso, anche il livello di questi ultimi ricade sotto le lenti del Fisco.

Tutti uguali per il Fisco

I redditi su cui ci sarà l’accertamento sintetico sono quelli a partire dal 2018. Ufficialmente, sarebbero quelli dal 2016. Tuttavia, fino alla fine del 2017 sono caduti già in prescrizione. Perché il redditometro fa paura anche ai cittadini onesti? Esso simula le entrate sulla base di algoritmi che potrebbero non rispecchiare le abitudini di consumo specifiche. Il Fisco valuta in base a medie statistiche, ma è proprio questo aspetto a seminare il terrore. Siamo tutti ridotti a numeri senza anima, desideri, obiettivi e modi di vivere personali.

Ci sono persone che risparmiano tanto, anche a fronte di entrate modeste. Conducono una vita parsimoniosa, pacchiana, senza sprechi. Ci sono altre che non riescono a risparmiare un solo euro, anche se guadagnano abbastanza. Il Fisco fa una media tra questi due stili di vita e pretende di scovare così l’evasione fiscale. In molti casi ci azzecca, in altri semplicemente crea situazioni di ingiustizia. Per non parlare dell’inciviltà nel dover fornire spiegazioni circa la provenienza “esterna” di determinati redditi: “questo è un regalo della nonna”, “questo me lo ha regalato l’amante”, ecc.

Lotta all’evasione fiscale sacrosanta

Diciamolo una volta per tutte: gli evasori fiscali vanno stanati senza se e senza ma. C’è una parte dell’Italia allergica alla convivenza civile. Usufruisce di servizi pubblici come strade, scuole, sanità e assistenza, ma non partecipa al loro finanziamento. E in moltissimi casi, non per mezzi inadeguati, bensì per presunta furbizia. Appartengono a tutti i ceti sociali. Sono spesso lavoratori dipendenti assunti in nero e contenti di poter nascondere i loro redditi al Fisco, così come piccoli imprenditori capaci solamente di iniziativa all’infuori delle leggi.

E’ un bene ridurre questa economia informale, che costituisce ricchezza fino ad un certo punto. Essa limita le potenzialità di crescita dell’economia formale sotto diversi diversi aspetti.

In primis, perché fa concorrenza sleale a chi lavora e produce in regola. Secondariamente, fa ricadere sul resto della cittadinanza il peso del Fisco. Non ultimo, diffonde un’idea di rassegnata accettazione anche di condizioni economiche precarie. Ma siamo sicuri che il redditometro sia la risposta giusta?

Consumi a rischio

Il rischio che corriamo sin dai prossimi mesi è di frenare la crescita dei consumi, su cui dovremo fare leva per evitare il ritorno ai tassi di crescita dello zero virgola. I cittadini avranno remore nello spendere, in parte ignorando le procedure effettive della normativa, temendo di finire attenzionati dall’Agenzia delle Entrate. Accadde anche con l’arrivo al governo del Prof Mario Monti. La campagna mediatica di caccia alle streghe che si scatenò contro gli evasori presunti o reali – ricordate i servizi dei tg sulle auto di grossa cilindrata in sosta o sui turisti a Cortina? – depresse la domanda interna, specie attorno a specifici prodotti e servizi considerati “sensibili”. Ne seguì una lunga e profonda recessione.

Redditometro è sparare nel mucchio

Non siamo a quei livelli. Non pensiamo che il governo di Giorgia Meloni voglia brandire il redditometro come arma feroce con cui rendere complicata la vita di milioni di italiani in buona fede. Tuttavia, è uno strumento che non convince. Sappiamo dove si annida l’evasione fiscale. Basterebbe assumere più ispettori del lavoro da fare girare nei cantieri, specie al Sud. Così come attenzionare alcune specifiche categorie, le cui dichiarazioni medie sono così fasulle da risultare vomitevoli (i tassisti a Napoli non arriverebbero a 6.000 euro all’anno). Ma azioni mirate sono politicamente costose. Meglio sparare nel mucchio secondo la logica del “un po’ a ciascuno non fa male a nessuno”?

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