Vladimir Putin è molto probabilmente l’uomo più odiato al mondo in questo momento. L’invasione dell’Ucraina e la ferocia con cui le sue truppe stanno bombardando il territorio e uccidendo numerosi civili lo hanno reso inviso, per convinzione e convenienza, anche tra chi ne tesseva le lodi fino a un mese fa. In questo clima, Pierluigi Loro Piana non ha saputo trattenere l’imbarazzo dopo che il presidente russo ha partecipato a un evento pubblico al teatro Luzhniki di Mosca nel quale ha difeso l’attacco contro Kiev.

Putin indossava un maglione bianco, un giubbotto anti-proiettile e sopra un parka di ben 12.000 euro niente di meno che di Loro Piana, il famoso marchio italiano del lusso. Il settantenne ex proprietario e oggi titolare del 5% del capitale ha sentito l’esigenza di contattare l’Ansa per comunicarle “imbarazzo dal punto di vista umano” e volendo sottolineare come la società abbia preso le distanze dalla Russia al punto da avere sospeso le forniture e chiuso le boutique nel paese a tempo indeterminato.

Loro Piana non è più nei fatti di proprietà italiana, bensì posseduta dal colosso francese della moda Lvmh di Bernard Arnault dopo la cessione per 2 miliardi di euro nel 2013. Parigi non si è espressa sull’accaduto formalmente, anche perché semplicemente non c’è stato nulla su cui avrebbe dovuto farlo. Possiamo considerare Putin il più cruento sanguinario della Terra, ma non si capisce perché la società che produce un giubbotto che indossa debba avvertire il bisogno di dire pubblicamente che con il suo cliente non c’entri nulla.

Loro Piana e le giustificazioni non dovute

E’ evidente che sia così. Non stiamo parlando di un abito da sartoria cucito su misura. In quel caso, almeno si sarebbe potuto eccepire che non fosse stata una buona idea accettare la richiesta del cliente. E sul piano dell’immagine sarebbe stata una trovata boomerang.

Ma qui siamo in presenza di un capo acquistato da Putin parecchio tempo fa, per ammissione dello stesso Pierluigi Loro Piana, trattandosi di un modello non recente; e chissà dove e come, se personalmente o attraverso terzi. In sostanza, fari accesi per nulla.

Certo, mettendoci nei panni della famiglia che dà il nome allo storico marchio, l’esternazione risulta comprensibile. Chiunque abbia riconosciuto il parka, lo avrà anche involontariamente associato alle azioni belliche di Mosca. E’ per un brand la reputazione è tutto, specie se si parla di moda. Tuttavia, una cosa è l’associazione visiva immediata, un’altra il mercato. Se un cliente entra in negozio per comprare una camicia, per caso il titolare dovrà monitorarne a vita le azioni per accertarsi che il suo capo non venga associato in futuro alla propria attività? E prima di battere lo scontrino, dovrebbe richiedergli la fedina penale e sottoporlo a rigida indagine sul suo passato?

Non dobbiamo mai perdere di vista la razionalità del business, che è altra cosa che chiudere gli occhi dinnanzi a certi affari loschi. Il paradosso consiste nel fatto che oggi non ci curiamo se un’azienda produca in chissà quale paese del mondo senza rispettare diritti sindacali, umani, dell’infanzia, ambiente e salute pubblica, mentre facciamo i bulli contro le prede facili e perlopiù innocenti. Molte multinazionali come McDonald’s hanno persino chiuso battenti in Russia per evitare di essere associati alla guerra in Ucraina. Come se un teenager di Mosca, comprando un Big Mac, si rendesse correo del crimine perpetrato dal suo presidente. Ipocrisia allo stato puro, che nulla ha a che vedere con la salvaguardia della reputazione aziendale. O almeno, così sarebbe in un mondo razionale.

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