L’Unione Europea ha deciso che non starà a guardare altri eccidi di civili ucraini come nella città di Bucha e ha inasprito così le sanzioni contro la Russia. Per la prima volta da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, è stato imposto l’embargo anche a parte del settore energetico. Scatterà lo stop alle importazioni di carbone e petrolio dalla Russia, mentre su quelle di gas resta un’opzione, ma al momento Bruxelles si mostra prudente.

I paesi europei sono molto dipendenti dall’energia fornita da Mosca, specie dal suo gas.

Germania e Italia risultano le economie più esposte, sebbene il nostro Paese disponga di riserve di gas superiori alla media europea. Inoltre, grazie ai gasdotti già in funzione da Algeria, Libia e Azerbaijan, saremmo anche meglio posizionati per sfruttare l’aumento delle esportazioni da Nord Africa e resto dell’Asia. Tuttavia, non sarà facile far funzionare tali impianti al massimo della loro capacità, per ragioni economiche e geopolitiche. Si pensi alle tensioni costanti a Tripoli.

Tornando al carbone, nel 2020 la Russia ne esportò complessivamente 262 milioni di tonnellate per circa 14,5 miliardi di dollari, qualcosa come quasi 12 miliardi di euro in tutto. Di questo, un terzo (32%) fu venduto nell’area OCSE e il 24% solamente tra Germania, Polonia e Turchia. Secondo l’Unione Europea, l’impatto dello stop al carbone dalla Russia sarebbe sull’economia continentale di soli 4 miliardi. I conti, però, non tornano. Vediamo perché.

L’incidenza del carbone sull’energia dell’Italia

Nel 2020, le esportazioni di carbone dalla Russia avvennero a un prezzo medio di 55 dollari per tonnellate o 45 euro. Solamente tra Germania e Olanda, le importazioni sfiorarono le 40 milioni di tonnellate. Per la serie, economia green un corno. Tuttavia, ai prezzi precedenti alla decisione di Bruxelles, il carbone risulterebbe venduto sui mercati internazionali ad almeno 260 dollari per tonnellata. Solo i due suddetti paesi ridurrebbero gli acquisti di circa 9 miliardi di euro.

E l’Italia? Sappiamo, grazie all’Istituto Affari Internazionali, che nel 2021 l’uso del carbone incise per il 4% dell’intera offerta energetica nazionale. E il 55% fu importato proprio dalla Russia. Poiché prima della pandemia il carbone forniva al nostro Paese 271.326 TJ di energia, abbiamo trovato, dopo apposita conversione, che fanno quasi 9,3 milioni di tonnellate all’anno. Ai prezzi di questa settimana, le importazioni da Mosca equivarrebbero a 1,2 miliardi di euro. Il contributo del carbone russo all’offerta energetica nazionale, invece, sarebbe di poco superiore al 2%.

In sé non si tratta di un dato significativo, se non fosse che nello stesso tempo stiamo riducendo le importazioni di petrolio dalla stessa Russia, equivalenti a circa 150.000 barili al giorno. E il 40% del gas consumato arriva sempre dalla federazione, circa 29 miliardi di metri cubi all’anno. In totale, l’energia fornita da Mosca incide per oltre un quinto del totale in Italia. Fare a meno in un solo colpo di petrolio, carbone e gas non sarebbe sostenibile, a meno di mettere in conto contingentamenti dei consumi e recessione dell’economia. Le maggiori difficoltà si avrebbero per il gas, trattandosi di una materia prima meno agevolmente trasportabile da un angolo all’altro del pianeta.

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