A Wall Street è formalmente scattato l’allarme. Troppi titoli azionari stanno registrando rialzi forti e improvvisi e, soprattutto, ingiustificati. Il fenomeno ha riguardato in maniera plateale GameStop, società di vendita di videogiochi, che è passata dai 17,25 dollari di inizio anno ai 347,51 di mercoledì sera. Il boom è stato del 1.900% in circa tre settimane. I ribassisti, cioè coloro che avevano scommesso contro il titolo, ne sono usciti con le ossa rotte. Il fondo Melvin ha dovuto chiudere tutte le posizioni “short” per contenere le perdite, le quali sono state comunque di qualche miliardo di dollari solo a suo carico.

Ieri, nel tentativo di arginare gli eccessi della bolla, le piattaforme di trading,tra cui Robinhood, hanno impedito ai clienti di acquistare alcuni titoli, tra cui GameStop, Nokia e AMC, consentendo loro solamente di vendere. I prezzi sono inevitabilmente implosi.

Il fenomeno si chiama tecnicamente “short squeeze” e consiste nell’acquistare un titolo contro cui si era scommesso e che contrariamente alle attese ha iniziato a impennarsi di prezzo. Gli acquisti per chiudere le posizioni “short” finiscono per accelerare i guadagni del titolo. Ma non c’è stato solo GameStop a infliggere grosse perdite ai venditori allo scoperto o “short sellers”. AMC Entertainment Holdings, società di gestione di sale da cinema, solo nella seduta di mercoledì guadagnava il 301,21%, chiudendo a 19,90 dollari e segnando una crescita del 900% da inizio anno.

Cosa sta succedendo? Sembra che in forum come Reddit, i trader si siano coordinati per prendere di mira i titoli più “shortati”, proprio al fine di farne impennare i prezzi e far scattare lo “short squeeze”. Nel mirino, ci sono anche National Beverage Corp, Dillard’s, The Macerich Co, Bed Bath & Beyond, etc. Fuori dagli USA, Nokia guadagnava mercoledì quasi il 14%. Tutti hanno in comune di essere oggetto di posizioni ribassiste per oltre il 50% del capitale.

Molte società a Wall Street stanno adottando qualche contromossa per evitare una possibile forte volatilità del titolo, come incrementare il “margin call” al 100%, limitare le posizioni ribassiste e consentire l’accensione di contratti di opzione solo “call”, cioè di natura rialzista.

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Bolla finanziaria alimentata da governi e banche centrali

Si sta verificando, infatti, che gli “hedge fund” con posizioni ribassiste sui titoli in forte rialzo abbiano dovuto liquidare le posizioni “long” o rialziste su altri titoli per ottenere il cash necessario ad acquistare quelli contro cui avevano scommesso. Pertanto, lo “short squeeze” starebbe provocando un calo dei prezzi su alcuni titoli a favore di altri. E paradossalmente, i primi sono quelli dalle prospettive positive e i secondi quelli su cui il mercato nutre aspettative negative. Un mondo alla rovescia, che ha attirato le attenzioni della nuova amministrazione americana di Joe Biden, che ha fatto sapere tramite il capo della sala stampa, Jen Psaki, di “monitorare la situazione”.

Se il fenomeno dello “short squeeze” si ampliasse, a rischio vi sarebbe la stabilità dell’intera borsa americana, e non solo essa. Le valutazioni dei titoli azionari verrebbero distorte a favore dei business apparentemente meno vivaci o destinati a soccombere. La SEC, che negli USA corrisponde alla nostra Consob, non è ancora intervenuta, anche perché vuole comprendere meglio se le azioni dei trader siano coordinate e abbiano una precisa finalità o siano più il frutto di operazioni spontanee, ma influenzate semmai dalle discussioni sui forum. Tra le azioni ventilate, la chiusura di Reddit e la sospensione dei titoli oggetto di rialzi eccessivi.

E’ possibile e desiderabile fermare questo fenomeno? La causa di questa bolla finanziaria non risiede solamente e tanto nella crescita d’importanza dei social come luogo di confronto dei trader.

E’ l’eccessiva liquidità disponibile a rendere possibili gli acquisti degli assets. Ed essa consegue alle politiche monetarie ultra-espansive delle banche centrali, ultimamente non solo rese ancora più accomodanti, ma corroborate da un allentamento fiscale senza precedenti in così breve tempo, al fine di combattere gli effetti della pandemia. Il mix tra stimoli monetari e deficit ha fatto fluire nelle tasche di molti americani – qualcosa di simile vale per Europa e Giappone – una quantità di denaro, che non è finita totalmente ad alimentare i consumi. Una parte non indifferente ha preso le vie finanziarie, specie in periodi di “lockdown” parziali o totali, in cui le spese delle famiglie sono necessariamente represse dagli stati. E questa non è una questione che si risolve introducendo qualche limitazione al trading o stringendo le maglie della regolamentazione finanziaria. Governi e banche centrali dovrebbero riflettere sulle conseguenze delle loro azioni. Ed entrambi, fino a un certo punto, forse vedono di buon occhio un minimo di accrescimento del rischio sui mercati finanziari, così da deviare un po’ di risorse verso il mercato dei beni e dei servizi, la cosiddetta economia reale.

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